Ora per le europee si spera nel pareggio

Ora per le europee si spera nel pareggio L'IPOTESI DI PALAZZO CHIGI Ora per le europee si spera nel pareggio Augusto Mlnzolini PROBABILMENTE ha ragione chi pensa che il 90 per cento dei discorsi durante la campagna elettorale siano parole dette in libertà. Il rimpasto, le elezioni anticipate, i governi di unità bellica possono essere previsioni altamente probabili o completamente errate. Tutto è condizionato dai risultati del 13 giugno. E non solo. Questo non toglie che il Transatlantico di Montecitorio pulluli di teorie su ciò che succederà. Saverio Vertono, cossighiano pentito, punta ad esempio sull'ipotesi di un nuovo governo: «Se la guerra non finisce si andrà ad una maggioranza di unità bellica. Basta ascoltare Cossiga che - ormai è chiaro - è un agente della Nato, dell'Intelligence. Lui oggi spara su Dini perché ai suoi, oltre AUantico, non basta più il governo D'Alema-Cossutta. Vogliono un'altra maggioranza che apra la strada all'intervento di terra». Possibile? Dipende tutto da Milosevic, Un altro personaggio che azzarda una previsione per il dopo-europee è l'ex democristiano, e ora vero pendolare tra i due Poli, Angelo Sanza. «Se il centrosinistra vincerà le elezioni europee - sentenzia - D'Alema punterà dritto alle elezioni anticipate por rimettere ordine nella sua coalizione, Altro che rimpasti!». Potrebbe succedere però l'esatto contrario, che a vincere cioè sia il Polo, ed è inutile dire che in quel caso Silvio Berlusconi non farà sconti a nessuno. «Noi chiederemo le elezioni - ba spiegato in questi giorni Se non ce le daranno e vorranno coinvolgerci in qualcos'altro, allora a Palazzo Chigi dovrà andare un uomo che non sia D'Alema, che non sia cioè il candidato del centro-sinistra per il governo nelle prossime pohtiche. Per un governo simile, che rimetta a posto qualcosa prima di andare alle urne, ci vuole un personaggio come Giuliano Amato». E con Berlusconi siamo arrivati alla terza variante. Ce ne potrebbero essere altre ancora, ma già queste bastano a rendere un po' paradossale la discussione che si sta facendo in queste settimane (ieri anche in commissione alla Camera) sulle riforme istituzionali. Un confronto promosso addirittura dal governo e che finora non è approdato a nulla se non a una riedizione dello stallo che portò al fallimento della Bicamerale poco meno di un anno fa. La verità è che il confronto tra i due Poli per dare qualche frutto ha biso¬ gno di una condizione particolare: dall'urna il 13 giugno deve uscire un risultato di pareggio o, al massimo, una leggera prevalenza di uno schieramento sull'altro. Il primo a saperlo è lo stesso D'Alema che punta tutte le sue chance proprio su un'ipotesi del genere. «Se Berlusconi ha spiegato in camera caritatis al suo staff - non avrà un risultato che gli garantisca una vittoria anche alle politiche, vedrete che alla fine accetterà di sedersi al tavolo delle trattative». Ma allora, perché D'Alema si è buttato fin d'ora sul tema delle riforme? Perché ha addirittura legato il futuro del suo governo a queste tematiche? Forse la risposta è più semplice di quanto si pensi: non aveva alternative. Intanto a Palazzo Chigi sostengono che l'argomento ha un appeal elettorale superiore di sicuro a chi chiede un voto per fare delle elezioni subito dopo. Il secondo motivo, invece, è squistamente politico: se la guerra finirà da qui a qualche settimana, il premier avrà bisogno di una grande tema per andare avanti. Dato che l'economia italiana aldilà delle previsioni del giorno per giorno - è stagnante, 1 unico argomento che può dare al governo la possibilità di proseguire, senza logorarsi, è proprio quello delle riforme istituzionali. Giocando in anticipo, D'Alema ha messo il cappello sull'argomento. Se il confronto decollerà, difficilmente si potrà prescindere da lui. Anche perché il premier ha riaperto la trattativa su tutto: sulla giustizia appare più disponibile alle tesi del Cavaliere rispetto ai lavori della Bicamerale; sulla forma di governo, invece, ha rimesso in discussione tutto, riproponendo anche la scelta tra governo del premier e presidenzialismo (e anche questo è un altro passo verso Berlusconi), Ora, però, tutto è legato ai risultato del voto: «Per convincere Berlusconi a collaborare - lo ha ripetuto lui stesso a Walter Veltroni - abbiamo bisogno almeno di un pareggio».