«Nessuna prova che volesse sparare» di Giovanni Bianconi

«Nessuna prova che volesse sparare» La sentenza dopo 29 ore di camera di consiglio. «Con quelle testimonianze non potevamo assolverli» «Nessuna prova che volesse sparare» La corte: e il gesto di Ferraro dimostra l'involontarietà Giovanni Bianconi roma _ La decisione sulla colpevolezza di Scattone e Ferraro l'avevano già presa l'altra sera, a maggioranza: sei voti a favore, due contrari. Ieri mattina, invece, gli otto giudici della prima corte d'assise di Roma discutevano della «qualificazione giuridica» del reato, dovendo scegliere tra l'omicidio colposo e quello volontario sollecitato dai pubblici ministeri, seppure nell'accezione del «dolo eventuale». E' stato allora che un giurato che aveva votato per l'assoluzione ha chiesto: «Ma scusate, che differenza c'è tra questo sparo e il lancio dei sassi dal cavalcavia?». La risposta è arrivata da uno dei giudici togati: «Non ce ne sarebbe nessuna se chi ha sparato avesse avuto la consapevolezza che la pistola era carica. Ma noi non abbiamo la prova di questo...». Ecco perché per gli imputati dei sassi di Tortona sono stati chiesti trent'anni di carcere, mentre Giovanni Scattone se l'è cavata con sotte: omicidio colposo, non volontario. Anche su questo la corte s'è divisa, cinque voti contro tre. Il «gesto di disperazione» di Salvatore Ferraro, che si mise le mani nei capelli, ha pesato sulla decisione: forse quella pistola non doveva sparare. Per Ferraro, quindi, è rimanto solo il favoreggiamento, che gli vale quattro anni di galera. Anche lui, come Scattone ha avuto il massimo della pena previsto dal codice: niente attenuanti «a causa della protervia del loro atteggiamento processuale», come ha detto più di un giudice. Gli echi del dibattito che s'è svolto nel segreto della camera di consiglio tra il presidente della corte Francesco Amato, il giudice a latere Giancarlo De Cataldo e i sei «popolari» (un architetto, un piccolo imprenditore, due casalinghe, un'ex professoressa e un impiegato) aprono qualche squarcio su un verdetto nato da una discussione mai troppo accesa, nonostante le divisioni. I due giurati innocentisti sostenevano che due bravi ragazzi, laureati e di buona famiglia come Scattone e Ferraro, non potevano essere i «mostri» dipinti dall'accusa. E comunque le provo per condannarli non c'erano. Ma gli altri giudici hanno ribaltato u discorso: come potremmo assolverli con le testimonianze che abbiamo? L'intera giornata di lunedì se n'è andata per scandagliare il «fatto»: le testimonianze oculari, le perizie tecniche, gli alibi degli imputati. «Per sostenere che Maria Chiara Lipari è una mitomane, la Alletto e la madre di Liparota delle calunniatrici, Liparota una vittima della polizia e la Olzai una teste costruita a tavolino dovremmo credere a un mega-complotto che ci sembra insostenibile», hanno spiegato i giudici colpcvolisti. E così, sulla base delle testimonianze, sono apparsi tre nitidi fotogrammi di ciò che accadde nell'aula 6 di Filosofia del diritto: Ferraro e Scattone davanti alla finestra (testimonianza Liparota); Scattone che si ritrae verso l'interno con la pistola in mano (testimonianza Alletto); Ferraro che si mette le mani nei capelli (ancora Alletto). Questo è ciò che secondo la corte d'assise è provato, oltre non si può andare. Non c'è la certezza che Scattone volesse sparare e che Ferraro lo sapesse, e quel «gesto di disperazione» dimostra'semmai il contrario: il colpo non doveva partire. Certo; potevano confessare subito rischiando molto meno, ma all'inizio delle indagini avranno pensato di poterla fare franca e un fatto del genere - si sono detti i giudici o lo si ammette subito o non lo si confessa più, per non perdere la faccia. Dopo mesi di polemiche, dunque, Gabriella Alletto è stata giudicata credibile: nelle ventinove ore di camera di consiglio nessu¬ no ha parlato del famoso interrogatorio video-registrato con la segretaria che, in lacrime, negava di essere nella stanza del delitto. Gli innocentisti hanno puntato sulla perizia che avrebbe messo in dubbio la provenienza del colpo. «Quell'atto fa crollare tutto», ha sostenuto un giurato. «No, perché comunque è solo un indizio - ha risposto un altro -. Restano le testimonianze oculari, e poi la perizia è piena di contraddizioni». Alcune ore è durata l'analisi del lavoro dei periti, i qua 1 i hanno sostenuto, ad esempio, che lo sparo provenisse con maggiori probabilità da una finestra che però era chiusa. Questo e altri punti discordanti hanno convinto i giudici che di quella perizia si poteva fare a meno. Erano tutti confermati, invece, i tempi del delitto ricavati dall'intreccio tra i tabulati telefonici e i racconti della Lipari e della Alletto. «Nelle motivazioni della sentenza scrivete che Maria Chiara Lipari sembra una donna fragile, mentre in realtà è molto forte», s'è raccomandato un giurato popolare. E su Gabriella Alletto: «Avete visto com'è stata decisa nei confronti con Scattone e Ferraro? Non poteva mentire». «Quella donna è stata aggredita in tutti i modi, ha già pagato, secondo me dev'essere assolta dal favoreggiamento», ha insistito un altro. Così è stato: le iniziali bugie della donna sono state giustificate dall'aver agito «in stato di necessità», nel timore di ritorsioni e di «nocumento nell'onore», formula quest'ultima espressamente prevista dal codice penale come caso di non punibilità. Lo «stato di necessità» ha salvato dall'accusa di favoreggiamento anche Francesco Liparota, il custode che alla fine è risultato un teste a carico di Ferraro e Scattone. Le sue ritrattazioni, infatti, non hanno convinto la corte. Dal dibattito tra i giudici è venuto fuori che Liparota aveva paura di Ferraro e Scattone e la Alletto pure, oltre al timore delle conseguenze per il suo lavoro all'istituto. Ma le accuse contro il direttore di Filosofia del diritto, il professor Romano, e gli altri due impiegati Basciu e Urilli, sono cadute: assoluzione «perché il fatto non sussiste», con conseguente crollo del «muro di omertà» dipinto da investigatori e magistrati. Un paio degli otto componenti la corte, su questo punto, avrebbero preferito un'assoluzione con la motivazione dell'insufficienza di prove, ma alla fine ha prevalso la formula più ampia. Contro il professor Romano c'erano solo un paio di intercettazioni telefoniche, con frasi giudicate troppo poco significative. Tutto questo sarà spiegato nelle motivazioni della sentenza, che saranno note tra qualche mese. Lì prenderanno forma altre discussioni svoltesi in un giorno e mezzo di riunione segreta: come quella sull'inconsistenza degli alibi forniti dai due imputati, per esempio. «Se anche fosse vero quello che ha raccontato Scattone, c'è comunque un buco sufficiente a commettere l'omicidio», ha sostenuto uno degli otto giudici, fra i più colpevolisti. Su di lui, ma anche sulla maggioranza degli altri, gli accorati appelli finali dei due imputati sono passati come l'acqua su un impermeabile. Colpevolisti sei giurati su otto «Un fatto del genere o lo si ammette subito oppure non lo si confessa più» «aonnnanaaBHnBa à\à

Luoghi citati: Lipari, Roma