La facoltà in canotta li condanna a metà di Maria Laura Rodotà

La facoltà in canotta li condanna a metà La facoltà in canotta li condanna a metà Dopo l'omicidio, settemila iscritti in meno reportage Maria Laura Rodotà ROMA OLI studenti di Legge, a Roma, sono perplessi sui loro studi e sulla legge; e su come la mano della Legge ha trattato il caso Marta Russo. Molti pensano che forse sì, Scattone e Ferraro potrebbero aver ucciso. Nessuno giudica sufficienti le prove portate al processo. Quasi tutti credono che la sentenza non spiegherà niente sul delitto. E poi ci sono gli esami, e fa un gran caldo, e l'università Roma I-La sapienza, e ' Giurisprudenza, sono quello che sono, si sa. Lo si capisce raggiungendo, la facoltà da viale Regina Elèna; un ingressa .da. ateneo veramente mediterraneo. Sole che batte, bancarelle con borse, collane e vestiti, e una densità umana, automobilistica, motorinistica degna del più grande ateneo del mondo. Del primo mondo, dicono. GIURISPRUDENZA. L'atrio della facoltà dalla emulo due anni fa spararono alla studentessa Marta Russo sembra la stazione ferroviaria di un capoluogo disagiato. Stessa architettura fascista oggi fin troppo rivalutata, stesse cartacce a terra, stessa igiene precaria, stesso viavai. E al posto delle partenze e degli arrivi, teleschermi ai muri con gli orari delle lezioni e degli esami. E bacheche con comunicati, minacce, vaghe dritte da caccia al tesoro: «Si avvertono gli studenti che il personale dell'Istituto di Procedura Civile non è a conoscenza di informazioni riguardanti l'Istituto di Diritto Privato»; «All'esame di Diritto del Lavoro saranno ammessi solo quelli che risulteranno presenti alle 8,30»; «Le macchine fotocopiatrici sono stato trasferite nelle Aule Tumminelli»; «Le dispenso del corso potrebbero essere disponibili tra una decina di giorni». LA PAROLA SCRITTA. Muoversi è difficile; ci sono 25 mila studenti, pochi spazi, luvoro complicato anche per i docenti di buona volontà. Sui muri dove un tempo si attaccavano i tazebao politici, ci sono le pubblicità dei centri assistenza per esami e tesi: «Procedura civile in 60 ore», «Tesi, giorni difficili», «Il giusto impulso per gli esami». All'ingresso dell'istituto di Filosofia del Diritto, quello di Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, l'unico poster protestatario. Titolo, «Studia oggi che scopi domani». Lamentela: dopo cinque anni di studio non si trova «un buon posto fisso con tanto di sexy-segretaria»; bensì «disoccupazioni;, lavoro nero, e ai più fortunati impieghi sottopagati». Intanto «i professori, le case editrici e le grandi banche si arricchiscono coi nostri soldi». UNA FACOLTÀ' IN CANOTTO. Molta confusione, poche prospettive, una massa studentesca fatta soprattutto da figli della piccola borghesia che ormai sperano solo di restare tali. Qui vengono educati a non sognare e neanche sperare. Al massimo, a districarsi tra moduli, code, dritte per passare esami. Il clima è di sbraco, abiti compresi. Compreso il deragliamento dell'immagine dello studente di Legge in voga anni fa. Quan¬ do ci si dava un tono, con giacche-cravatte, 24 ore, tailleurini da futuri avvocati/e d'assalto. Ora, anche gli esami si fanno in canotta. Abbinata a pantaloni stretti, zatteroni, collanine-tatuaggio, anche ombelichi in vista. Poi, unico dettaglio da campus americano, usano i bermuda. Unisex ma soprattutto per maschi, larghi, da indossare sopra scarpe da ginnastica a gambe pelose, modello giuggioloni di «Friends». IL PROCESSO. Nel corridoio sopra il cortile in cui fu uccisa Marta Russo, davanti all'aula VI, si aspetta di dare Storia del Diritto romano. Folla sudata, due quotidiani in tutto tra duecento persone, nessuna aspettativa sulla giustizia al lavoro per Marta. Riassume l'umore ge- nerale Giovanni Mattei, aria perbene, occhiali e catenina: «Io non sono riuscito a farmi un'idea. Le prove raccolte non sono schiaccianti. Se ne parla molto, la maggioranza la pensa come me. Cioè che è un rebus che non si risolverà mai. Anche per questo prevedo che li condanneranno in primo grado e li assolveranno in appello, così salvano capra e cavoli». Dora, fuorisede calabrese, ricciolona, in maglietta strizzata, interviene con grande fiducia nella magistratura: «E' una storia troppo ingarbugliata. Io non so esprimermi, e non so se neanche i giudici saranno in grado». Davide Sole, aria saputa, capelli ultracorti e occhiali scuri in testa si prende l'incarico: «Io penso che li assolverei. Non ci sono gli ele¬ menti per condannarli, manca il movente, manca l'arma, manca tutto». Qualcuno obietta che manca tutto tranne il rischio di impazzire in questa facoltà. Però «l'idea che questa facoltà faccia diventare matti è popolare ma superficiale. Certo, c'è gente che pensa che in questo ambiente due assistenti possano cominciare a crédersi superuomini». Nel corridoio dell'istituto di Filosofìa del Diritto, dove la voglia di parlare in questi giorni è scarsa, raccontano qualcosa due laureandi dall'aria più colta e ganza degli altri. Francesco, bermudatissimo: «Sono successe troppe cose, non ci sono ancora certezze, o meno di prima. Qui dentro comunque ancora se ne discute, tra colpcvolisti e innocentisti». Claudio, biondo col pizzetto, identico al ladro giovane di «Mamma ho perso l'aereo»: «In facoltà è come il caso Dreyfus». Francesco: «Però gira gira pensano quasi tutti la stessa cosa: che Scattone e Ferraro siano colpevoli, ma che prove sufficienti non ne hanno trovate. E che la Procura di Roma, ha dato, diciamo, una spinta troppo pesante alle indagini. Senza trovare cose certe». Claudio: «La sentenza non cambierà molto, l'insistenza accusatoria non ha prodotto risultati. Tranne far restare loro in galera». Subito fuori Giuseppe, in maglietta che inneggia al surf, prende le distanze: «L'indagine è stata un casino, il processola casincy qu^ta facoltà e tutta' un casino, io ci vengo meno che posso». Li'vicino Massimiliano e Mario,. Marchi, amici,contigli occhiali, sono più interessati, e garantisti: «Questi pm hanno tenuto due ragazzi in carcere senza movente e arma. Però poi hanno fatto tali pasticci che non mi stupirei se li assolvessero», dice Massimiliano. Marchi spiega che «qui son due anni che si discute; ci sono più innocentisti che colpevolista». Massimiliano conclude: «Una parte di me pensa che siano stati loro; ma visto come è andato il processo, se li assolvono non mi scandalizzo». Aspettando di dare Storia del diritto romano, altre due ra gazze ne discutono. Anche loro con gran dispendio della parola «casmo». Dice Sabrina Pandolfi: «E' una storia incasinata. Certo qui è incasinato, poteva succedere. Io continuo ad aver problemi all'idea che l'hanno fatto due assistenti di Filosofìa del diritto. Fossero stati di Penale...». La sua amica Elena Bruzzolo ne aggiunge: «Non mi aspetto verità dal verdetto. Ci siamo abituati all'idea che la giustizia non funziona». Sabrina: «Certo che no. E qui può succedere di tutto. Ci vorrebbero controlli, vigilantes, altro che storie». ORSETTI NI MARTA. LI fuori, sotto la lapide, resistono attaccati a un sbarra un po' di ingenui omaggi a Marta, tra l'ex voto e il gadget: oltre ai fiori ormai secchi, orsetti consumati, un Gesù Bambino e un segnalibro con putto. Tanti, passando, ancora si fermano. Sono meno di una volta, però. Nel '98, le iscrizioni al primo anno sono state 1911, settemila in meno del '97. Dicono che è per via della fine dell'appeal di Mani pulite, degli afflussi a Roma 2 e 3, di un quiz neanche vincolante che in molti hanno fallito. Ma neanche quelli che l'hanno passato, nella giurisprudenza, sembrano crederci più tanto. «Un rebus che non si risolverà mai L'idea che questa università faccia diventare matti è superficiale Ma c'è chi pensa che due assistenti possano cominciare a credersi superuomini» «La procura di Roma ha dato una spinta troppo pesante alle indagini Qui può succedere di tutto ci vorrebbero controlli vigilantes, altro che storie» Gli orsetti per Marta Fiori, biglietti e immagini ricordo nel > ■ ■ • luogo dove fu uccisa Marta Russo

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