SALVEMINI: SEI FIGLI REGALATI ALLA MORTE

SALVEMINI: SEI FIGLI REGALATI ALLA MORTE SALVEMINI: SEI FIGLI REGALATI ALLA MORTE Cinque uccisi dal terremoto, uno dal fascismo ^^p^^^^^^l HI è padre pone ostaggi in grembo /' / a^a 'ortuna*: ne sapeva qualcosa, Mg TÈ di questo luogo comune, il grande /'-■'■! « storico Gaetano Salvemini al quale / / ■ il destino, e per ben due volte e con i beffardo procedere, inferse durissi- I mi colpi ài riguardo. Nato a Molfetta l'8 settembre • ] 1873 da una famiglia di contadini e \~'~\ I pescatori «ricca dì figli ma povera \ \ J nel borsellino» quello che sarebbe A\ diventato - agli occhi di tutta la V\ cultura e l'opinione pubblica inter- ^^1^^^^^^ ■ nazionale - uno dei più prestigiosi avversari del regime fascista - nonché una delle figure di riferimento della cultura italiana nel corso della prima metà di questo secolo, aveva dovuto faticare tantissimo per mantenersi agli studi. Decisiva fu una borsa di studio che aveva conquistato con quello stile diretto e schietto - che connoterà tutta la sua presenza pubblica. Ad uno dei tre esaminatori dell'Istituto Superiore di Firenze che nell'autunno del 1890 gli chiedeva quale fosse il «nocciolo della leggenda di Enea» il diciottenne Salvemini rispose da par suo: «Se vuole che le faccia un sunto dell'Eneide, lo faccio: se vuole che traduca l'Eneide ad apertura di libro, credo che me la caverei. Ma al mio paese nessuno mi ha mai insegnato che le leggende hanno i noccioli». Uno dei tre esaminatori - rammenta Salvemini nelle memorie scritte tanti anni dopo - sorrise. Mi congedarono, e mi assegnarono sessanta lire al mese. Senza quelle sessanta lire avrei dovuto tornarmene al mio paese, primo maschio tra nove fratelli e sorelle, e diventare prete che questo era nell'Italia meridionale di allora il destino dei ragazzi non analfabeti e non stupidi delle famiglie povere...». Ea invece Salvemini aveva davanti ben altro destino: quello che lo porterà non solo ad essere un grande insegnante - da Firenze ad Harvard - ma soprattutto un vero maestro. Convinto che il lavoro culturale fosse davvero una sorta di chiamata: «Dio ha detto all'uomo Ti guadagnerai il pane col sudore della fronte". La cultura è il pane dell'anima... Si deve lavorare, soffrire e rinunciare alle cose per essere degni di conquistarla...». Sia nell'attività accademica che nella militanza (che di volta in volta, nelle diverse stagioni della politica italiana, fece di Salvemini tm punto di riferimento delle battaglie per il suffragio universale prima, per l'interventismo nella Grande Guerra e quindi - quando il Paese fu sottomesso dal regime mussoliniano - per la riconquista della libertà) c'era, noi suo operare, un procedere capace di far crescere coscienze, soprattutto quelle dei giovani che si rivolgevano a lui, senza indurle ad alcun conformismo. Di questo stile, che caratterizzò tutte le «paternità spirituali» di Salvemini, Ernesto Rossi scrisse: «Il giovane imparava da lui a non accogliere nessuna affermazione senza sottoporla al vaglio della propria ragione, imparava, a doman- Salvemini naque a Molfetta nel 1873 ddarsi a cosa servono le consuetudini e le istituzioni esistenti, anche le più venerande; imparava a batterecon le nocche sull'intonaco delle parole per sentire quel che c'è dietro: il gesso, la pietra viva o ivuoto...». Maestro eccezionale, capace dfarsi carico delle gioiose paternità spirituali di allievi che si distingueranno nella vita del Paese, Salvemini aveva sperimentato anche la paternità vera: sposatosi nel 1897 con Maria Minervini, una ragazza di Molfetta, ne aveva avuto cinqufigli. darsi a cosa servono le consuetudini e le istituzioni esistenti, anche le più venerande; imparava a battere . con le nocche sull'intonaco delle parole per sentire quel che c'è dietro: il gesso, la pietra viva o il vuoto...». Maestro eccezionale, capace di farsi carico delle gioiose paternità spirituali di allievi che si distingueranno nella vita del Paese, Salvemini aveva sperimentato anche la paternità vera: sposatosi nel 1897 con Maria Minervini, una ragazza di Molfetta, ne aveva avuto cinque figli. A Messina, dovè era stato portato dai doveri dell'insegnamento, aveva conosciuto la gioia di accostare le felicità domestiche al dispiegarsi di una sempre più matura operosità intellettuale. In una sua lettera dell'estate del 1908 scriveva: «Nella mia vita familiare sono così felice che ho persino paura». Il 28 dicembre di quello stesso anno la sua felicità viene brutalmente troncata, forse per sempre. Rientrato a tarda sera da un dibattito Salvemini trova la famiglia moglie, sorella, i cinque bambini addormentata nell'abitazione, all'ultimo piano di un palazzo che dà sul lungomare di Messina. S'aggira per casa, inquieto, poiché sente attorno a sé un disperato latrare di cani, il suono di campane lontane: tutti i i segnali della tragedia incombente. Il terremoto che spazza via la città giunge pochi attimi dopo. Gaetano Salvemini mentre tutta la costruzione s'accar- toccia - viene sbalzato dal quinto piano: protetto da una trave miracolosamente si salva. Ma la sua famiglia non c'è più. Qualche mese dopo scriverà affranto: «Se io avessi potuto una volta immaginare una sciagura orribile che mi colpisse, non avrei mai pensato a quel che è avvenuto. Me ne fosse rimasto almeno uno di quei bei figlioli...». Per lungo tempo Salvemini confidando nel fatto che durante la pietosa opera di ricerca e composizione delle salme non fosse stato rinvenuto il corpo di Ughetto, uno dei suoi figli - spera che la sorte gli faccia rincontrare, quasi per miracolo, quella sua creatura che il terremoto gli aveva strappato. Ughetto non giungerà mai. Il destino, tuttavia, quasi a voler parzialmente medicare quell'immensa ferita, concede a Salvemini, che si risposa qualche anno più tardi con Fernande Luchaire, nuovi affetti verso i due figli di lei. In particolare Salvemini s affeziona a Jean Luchaire, un ragazzino sveglio che a soli quattordici anni già pubblica un suo giornaletto politico. Scriverà Iris Origo, amica di Salvemini sin da quegli anni: «Passava molte ore a dissertare con Jean sulle sue opinioni ed era turbato nel rendersi conto, già allóra, che non solo erano idee sbagliate, ma pericolose. Non poteva ancora prevedere a quale grande tragedia lo avrebbero portato...». Mentre Salvemini - dopo aver conosciuto il carcere fascista e l'espatrio negli Stati Uniti - diventa una delle voci più prestigiose del fuoruscitismo antifascista, Jean Luchaire prende tutt'altra strada. Intelligente ad ambizioso, dopo aver velocemente attraversato un'esperienza di militanza giornalistica a sinistra, finisce - occupata la Francia dai tedeschi - tra gli esponenti del governo collaborazionista. E' tra coloro che nel 1944 fuggono a Sigmaringen dove diventa addirittura ministro delle Informazioni. Con il crollo del fronte nazi-fascista il figliastro di Salvemini cerca salvezza a Merano ma, nonostante alcuni interventi italiani e americani, i francesi lo catturano e 10 processano. Il dibattimento celebrato dopo altri processi e verdetti controversi contro personaggi ben più noti come Pétain e Lavai, Maurras, Brasillach nonché altri nomi della nomenklatura di Vichy 11 cui pensiero viene analizzato in recenti opere di Zeev Sternhell termina con la condanna a morte. Salvemini, appreso della prossima esecuzione del figliastro (impiccato il 22 febbraio 1946), giunge affranto da Harvard per stare accanto a Fernande. Ma si fermerà in Europa per pochi giorni. Ripartirà, sconvolto, quasi subito per gli Usa. «Gaetano ha sofferto, ma non ha capito • dirà la moglie, rimasta sola -. Durante l'occupazione ero la moglie di Salvemini. Con la liberazione sono diventata la madre di Jean Luchaire». Oreste del Buono Giorgio Boatti gboatti@venus.it La prima famiglia distrutta dalla catastrofe nella Messina del 1908. Risposatosi, il figliastro Jean Luchaire verrà impiccato nel 1946 /M/'-■/ i I • \~'~ Da leggere: Iris Orlgo Bisogno di testimoniare. Quattro vite Longanesi Milano 1984 Gaetano Salvemini Carteggi Feltrinelli editore Milano 1968 Zeev Sternhell Né destra né sinistra. L'Ideologia fascista In Francia Baldini & Castoldi Milano 1997 Salvemini naque a Molfetta nel 1873 da una famiglia di contadini e pescatori