«Non sarà un altro Vietnam»

«Non sarà un altro Vietnam» RISCHI E CHANCE DELLA CAMPAGNA Di TERRA «Non sarà un altro Vietnam» Keegan: Milosevic non ha carte da giocare analisi John Keagan LA Serbia non è il Vietnam. Eppure lo spettro di quella sfortunata guerra aleggia su tutto il processo decisionale della Nato per quanto concerne la guerra in Kosovo, soprattutto della Casa Bianca. Ma perché gli americani esitano tanto? Se i più importanti Paesi membri della Nato sono disposti a inviare le loro truppe di terra ai confini con la Serbia, perché il portabandiera dell'Alleanza tentenna? Tutto nasce dal Vietnam. La maggior parte degli europei non riesce a capire quanto profonda fosse la ferita aperta dal Vietnam dentro la società americana e quanto faccia ancora male. I leader americani, al culmine della Guerra Fredda, dissero al popolo americano che era fondamentale mandare una generazione di giovani a combattere il nemico comunista in un Paese lontano. Una maggioranza di americani patriottici accettò quella responsabilità. Una minoranza ugualmente responsabile ritenne invece che quella guerra non servisse interessi fondamentali americani. Una minoranza di quella minoranza condannò la guerra per motivi morali. Per gli americani, comunque, lo spettro dell'Offensiva del Tet persiste. Gli Stati Uniti non amano le sconfitte. Tecnicamente parlando, non hanno mai perso una guerra nei duecento anni della loro sto¬ ria. Quando, nel '75, il Vietnam del Nord invase quello del Sud, le forze armate americane se n'erano andate da un pezzo. Gli americani sanno anche di aver evitato per un pelo l'umiliazione formale in Vietnam e non vogliono rischiare un bis. Eppure le due situazioni non potrebbero essere più diverse. Dal punto di vista militare, il terreno è diverso e cosi il tipo di forze in campo. Strategicamente parlando, il contesto è diverso. E, soprattutto, politicamente e moralmente la qualità del conflitto è diversa. Tutte le differenze sono a sfavore di Milosevic e del suo regime post-comunista, eredità di un vecchio passato, e a favore della Nato, un'alleanza che rappresenta il futuro, quanto mai promettente. Prendiamo la questione del terreno: è vero che l'ingresso in Kosovo, attraverso sia la Macedonia che l'Albania, ò abarrato da alte montagne, con poche e cattive strade d'accesso. Ma la Nato non è legata alle strade. L'esercito e l'aviazione degli Stati Uniti hanno centinaia di elicotteri da trasporto, che in poche ore possono trasportare migliaia di soldati sul campo di battaglia, protetti da centinaia di elicotteri da combattimento. Le risorse americane sono rafforzate dall'equivalente europeo. Anche la piccola Raf ha 34 elicotteri Chinook capaci di trasportare duemila soldati, cosi come Francia e Germania. Il terreno dei Balcani, a differenza del Vietnam, non è ostruito da una fitta foresta. I bersagli sono chiaramente visi- bili. L'esercito serbo, ovviamente, scava trincee, che però sono improvvisate. Non c'è l'equivalente degli enormi complessi sotterranei che rendevano la vita tanto difficile agli americani quando dovevano ripulire le zone nemiche in Vietnam. L'esercito serbo, poi, non è paragonabile a quello nordvietnamita. La popolazione serba è assai più piccola. I serbi della Serbia propriamente detta sono nove milioni, di cui solo il dieci per cento è in età militare. Milose¬ vic, con i soldati di leva e i riservisti, ha mandato sul campo 150 mila uomini. La popolazione del Nord Vietnam nel 1968, l'anno peggiore della guerra, era di venti milioni, con centomila uomini che ogni anno raggiungevano l'età della leva. Tra il gennaio e U giugno '68, il Vietnam del Nord mandò 180 mila soldati nel Sud, dove ce n'erano già diverse centinaia di migliaia. Milosevic non può raggiungere queste cifre. I serbi sono già sotto pressione. Inoltre, uomini in età militare stanno lasciando il Paese e le famiglie protestano contro la leva. Gli eserciti permanenti della Nato sono perfettamente in grado di fronteggiare quello jugoslavo: non c'è bisogno di ricorrere alla coscrizione obbligatoria, che rese la guerra del Vietnam così disastrosamente impopolare. Nemmeno dal punto di vista strategico le due guerre sono paragonabili. «I nord-vietnamiti hanno due fratelli maggiori», dice¬ va il presidente Johnson, alludendo all'Unione Sovietica e alla Cina. Milosevic non solo manca di un «fratello maggiore», ma il suo territorio è completamente circondato da Stati che gli sono ostili e non ha appoggi militari dal mondo esterno. Altro punto cruciale, sta sulla difensiva, perché deve tenere il Kosovo. L'esercito vietnamita invece era all'offensiva. Non doveva guadagnare terreno, soltanto indebolire la potenza di combattimento dei suoi opposito- ri. Se la Nato invadesse il Kosovo, sarebbe nella posizione dell'esercito nord-vietnamita e Milosevic in quella del generale Westmoreland. La posizione di Milosevic è di gran lunga la più debole. Infine, Milosevic noi: può contare su nessun sostegno politico e morale, come quello che davano a Ho Chi Min i compagni marxisti, gli antiamericani e i giovani idea listi illusi. Non ha un seguito al di fuori del suo Paese e deve fare i conti con una opposizione interna. Inoltre adesso è ufficialmente incriminato per crimini di guerra da un tribunale intemazionale imparziale. Tutto questo può renderlo personalmente più disperato, ma la sua disperazione non rafforzerà la determinazione dei suoi compagni serbi, che nelle dieci settimane di bombardamenti hanno già sofferto quasi quanto i nord-vietnamiti nel corso dell'Intera guerra. Per quanto patriottici, i serbi sanno che il destino di Milosevic è la gabbia degli imputati come a Norimberga o un colpo di pistola nel suo bunker di comando. Milosevic non solo non può vincere, ma non può neppure sfuggire alla trappola tesa uitorno a lui. Tutto quello che si chiede alla Nato è la volontà di finirlo. L'occidente giustamente riconosce ai serbi il loro grande coraggio. Ma nel 1941 l'esercito jugoslavo, comandato da serbi, fu sconfitto in 11 giorni, infliggendo al nemico meno di 600 perdite. Quell'attacco deciviso può essere ripetuto. Serve soltanto l'ordine di partire. Sunday Telegraph-La Stampa «Il territorio non è ostile come le foreste asiatiche, i serbi sono coraggiosi ma pochi e la nostra guerra è moralmente giusta» **tV:.: Un soldato americano della Iona di pace Nato in Bosnia attende l'ordine di lasciare il campo per il servizio di pattuglia