La Nato: vogliamo la firma di Milosevic di Francesco Manacorda

La Nato: vogliamo la firma di Milosevic La Nato: vogliamo la firma di Milosevic Francesco Manacorda corrispondente da BRUXELLES Una dichiarazione per fermare i bombardamenti. E' questo, assieme al ritiro delle truppe dal Kosovo, che la Nato chiede a Slobodan Milosevic ora che secondo gli Alleati il Presidente serbo sta «cominciando a muoversi - dice il portavoce della Nato Jame Shea - da una posizione di sfida totale della comunità internazionale, al punto in cui almeno dice di accettare le richieste chiave del G8 che incorporano le cinque condizioni della Nato». E che la strada della diplomazia si sia fatta all'improvviso meno tortuosa, nonostante i bombardamenti Nato sulla Serbia proseguano intensi come sempre, lo dimostrano anche altri elementi. In primo luogo l'annuncio del presidente finlandese Martti Ahtisaari, che funge in queste settimane da mediatore dell'Unione europea, che «molto probabilmente» andrà a Belgrado, sebbene ritenga ancora troppo vaghe le dichiarazioni di Milosevic: «La semplice accettazione di princìpi del G8 non dà abbastanza chiarezza per procedere oltre». E anche Wesley Clark, l'uomo che programma e comanda l'azione militare della Nato contro la Serbia parla adesso di «un cambiamento di tono molto significativo» da parte di Milosevic. A due giorni dall'ultimo incontro tra Milosevic e Chernomyrdin, la Nato fa sapere così quali sono «le due cose che davvero vorremo vedere» da parte del Presidente serbo: «La prima - spiega Shea - è che potrebbe fare egli stesso una dichiarazione molto chiara nella quali accetta le cinque condizioni della Nato, senza riserve, senza trattative, e che è disposto a mettere in pratica quelle cinque condizioni unmediatamente. E poi la garanzia che dovrebbe dare per mostrare la sua sincerità dovrebbe essere il ritiro delle sue forze dal Kosovo». Un ritiro che secondo la Nato deve essere totale, «immediato e verificabile», visto che «il Kosovo è una zona piccola e la Serbia è proprio là accanto». L'accoglienza data alle ultime dichiarazioni del Presidente serbo resta comunque differente tra gli Alleati. Oggi, al consiglio dei ministri degli Esteri dell'Ue, ci saranno attorno al tavolo quattro Paesi che sono anche membri del G8 - Fran¬ cia Germania, Gran Bretagna e Italia - e che probabilmente avranno molto da discutere sulla posizione comune da assumere. Londra infatti, sulla scia di Washington, dà scarso credito alle «aperture» di Milosevic, mentre Francia e Germania hanno chiesto proprio sabato una nuova riunione del GB che in sostanza dovrebbe esaminare la posizione serba e cercare di mettere a punto i particolari ((pratici» che ancora dividono Mosca e i Paesi Nato. E la richiesta franco-tedesca trova pienamente d'accordo anche l'Italia. Tra i Paesi Ue ci sono opinioni diverse anche per quel che riguarda le prospettive da dare ad Albania e Macedonia: Bonn vorrebbe che ai due Paesi confinanti con la Serbia venisse offerto un futuro ingresso nell'Ue, Parigi e Roma sono assai più prudenti e temono un allargamento sotto il cui peso crollerebbe l'Europa a Quindici. Sono questioni di cui parleranno anche, giovedì e venerdì a Colonia, i capi di Stato e di governo che si incoi 1treraiuio per il vertice di chiusura della presidenza tedesca dell'Ue. Su un punto, comunque, la posizione di tutti i Paesi Nato appare solidissima, con Milosevic, resta la parola d'ordine, non si tratta. La sua dovrà essere una resa in cui accetta integralmente le condizioni imposte dagli Alleati - le uniche che garantiscano un ritorno sicuro per i profughi e un assetto stabile per il futuro dei Balcani, sostiene la Nato - e non un negoziato. Sulla stessa posizione è Ahtisaari: con Milosevic - dice - «non ci saranno negoziati. Si tratta di un'offerta di pace e il mio ruolo sarà quello di spiegare questa offerta». «Non faremo questo errore - aggiunge Shea riferendosi appunto a una trattativa -. Non daremo al presidente Milosevic una carota che lo incoraggerebbe a credere di poter raggiungere una accordo in base alle sue condizioni piuttosto che su quelle della comunità internazionale». Se la carota non rientra nella strategia Nato, il bastone - inteso come uso dei raid aerei - continua invece ad essere utilizzato abbondantemente: nella sessantottesima gionata di attacchi gli Alleati hanno effettuato 697 missioni, di cui 309 di bombardamento e 85 dirette contro la contraerea serba. E ancora ieri Clark ha ripetuto di essere contrario a una pausa nei bombardamenti. «Dal punto di vista militare - ha detto il generale - sarebbe una cattiva idea».