Gladio chiede i danni all'esercito di Mario Baudino

Gladio chiede i danni all'esercito OTTO ANNI DORO LE ACCUSE DICOSPIRA2:iC^pt;^^" Gladio chiede i danni all'esercito 60 «reduci» in cerca di «legittimazione» reportage Mario Baudino Invialo a CERVIGNANO ■ L gladiatore è stanco. Sono pasI seti oltre otto anni da quello H che per lui e il giorno del tradimento, la più brutta Epifania della sua vita, sette da quando è stato assolto dall'accusa di aver cospirato contro lo Stato, ma il suo cruccio rimane. Vuole che l'esercito gli scriva, nera su bianco, che lui negli anni di «Gladio» ha svolto compiti segreti ma all'interno delle forze armate. Si ritrova con gli altri ex per le riunioni dell'Associazione costituita quando usci la lista dei 622 civili appartenenti all'organizzazione, ma il senso di frustrazione non passa. Teme di ossere un fantasma. Quando Andreotti, presidente del Consiglio, autorizzò nel '90 il giudice Casson che da Venezia indagava sulla trago di Peteano a esplorare gli archivi di «Gladio», la struttura di «Stay Belline!» integrata all'interno della Nato per entrare in campo in caso di invasione nemica diventò improvvisamente notissima, e in modo sinistro. Venne accostata ai troppi misteri della strategia della tensione, al delitto Moro. I 622 «gladiatori», impiegati, operai, commercianti, imprenditori, in taluni casi eletti nelle istituzioni locali, si trovarono prima «licenziati» dall'ammiraglio Martini, con una lettera che li ringraziava per il servizio prestato e li svincolava anche dall'obbligo del segreto, e poi, all'inizio del '91, additati al pubblico disprezzo, quando vennero resi pubblici i loro nomi. Da allora, la loro vita è cambiata. In peggio, dicono. E da allora vogliono una «legittimazione», che non arriva, perché ai vari distretti militari restano degli sconosciuti. Si sono incontrati, ieri a Cervignano del Friuli, e non erano molti, una sessantina, dei duecento che costituirono l'Associazione. Senza sponsor politici. «Non viene il presidente Cossiga, che ci aveva incoraggiati - ci spiega il presidente, Giorgio Mathieu - e che è nostro socio d'onore. Non viene neanche il miniatro Sccgnamiglio, in cui pure riponevamo qualche speranza. Ci ren- diamo conto che con la guerra in corso possono esserci problemi più urgenti, però...». L'Udì-è svanita, di altri politici nemmeno a parlarne. Mathieu ha una preoccupazione: da tempo i «gladiatori» non occupano piii la scena, sono stati «accantonati». Ma potrebbero torbare «nell'occhio del ciclone» all'improvviso, per qualche «gioco politico». Quindi, legittimazione. La si tolga dal regno dei fantasmi. «Più passa il tempo, più la strada è difficile. Quindi si tratta di decidere: continuare, o sciogliere l'Associazione». Sciogliersi? No, i gladiatori si dividono, forse litigano un po' (a porte chiuse) e poi tornano in campo. Stanchi, un po' invecchiati, ma ancora battaglieri. Si va avanti. Si userà anche la legge sulla privacy, in base alla quale ognuno chiederà al Sismi di comunicare i dati che possiede su di lui. Ottima idea, osserva Francesco Gironda. «Anzi, andiamo da Rodotà. Per la sua legge è disposto a tutto, persino ad ascoltare noi». Francesco Gironda è l'amministratore delegato dell'editrice «Nuova Biotti» e a tutto fa pensare fuor che a un guerrigliero. Ma ci spiega che l'arruolamento nella «Gladio» aveva logiche diverse: in Friuli, sulla frontiera, puntava davvero a «guerriglieri», nel resto d'Italia più a «ufficiali». Come lui. il risultato è che i «gladiatori» hanno dovuto inventarsi nel '91 un modo d'essere reduci o commilitoni, perché salvo qualche gruppo friulano, non si conoscevano. Andavano ad addestrarsi in Sardegna, a piccoli gruppi sempre diversi. Vietato parlare di cose private. Si davano del lei. Si presentavano col solo nome di battesimo, preceduto dal «signor». C'erano anche donne, quasi sempre le mogli. I ricordi sono individuali, al più famigliari, quasi mai collettivi. Paradossalmente sono diventati amici dopo la pubblicazione dell'elenco. «Quel che ci tiene insieme è un torto subito», dice Mathieu. 0 un «tradimento», secondo Luciano Scarello, che invece ha fisico, portamento e baffi da vero guerriero. Pare uscito da un film. E ne ha, di cose da raccontare. A cominciare dal giorno in cui uscirono gli elenchi e la sua vicina di casa si mise a urlare sul balcone: «I mascalzoni abitano vicino a noi». E sua moglie, che era stata tenuta all'oscuro di tutto, gli disse semplicemente: «Ma quante balle mi ha hai raccontato nella vita?». E al suo negozio di piastrelle vicino a Cervignano cominciarono a scarseggiare i clienti, e all'osteria... «All'osteria venni affrontato malamente da uno conoscente; allora gli dissi: tu hai scoperto qualcosa su di me oggi, ma io sapevo di te da tanto tempo, di te e della Tigre». «Sa - continua • anche i comunisti facevano esercitazioni, solo che loro si convocavano per posta; una volta il postino si sbagliò, mise una lettera per la Tigre nella cassetta d'uno dei nostri. Mi spiace di non averla almeno fotocopiata, prima di muda ri a al Sismi». Poi giocò a carte con la Tigre in persona, lui che aveva imparato per motivi di copertura, «mentre Tigre non aveva imparato mai, cosi giocava malissimo, però voleva giocare con me». Sembra una storia di paese, di Pepponi e Doncamilli. Anche se un brutto giorno da un deposito di Gladio uscì l'eplosivo che delinquenti comuni usarono per far saltare in aria dei carabinieri. «Guardi è l'unico caso di un "nasco" che non fu protetto bene. Io ne conoscevo tanti, avevo il compito di verificare che fossero al sicuro. C'era un po' di esplosivo, fucili di precisione, rivoltelle. Roba che doveva servire in caso di invasione. Non è mai stata toccata e dopo lo scioglimento di Gladio è stata recuperata». Come fa a esseme sicuro? «I nasco li conoscevo quasi tutti». Nasco sta por nascondiglio. Gladio, quel nome «cretino inventato da chissachì» come disse in un'intervista Paolo Emilio Taviani, nasceva invece dalla corta spada romana che figura nei simboli delle forze speciali. «In tutte, dalla Russia all'Inghilterra», secondo il generale Paolo Inzerilli, che di Gladio fu il responsabile. Anche lui è a Cervignano. E' stato presidente dell'associazione. E' il solo militare. Ed è anche, insieme all'ammiraglio Fulvio Martini, l'u nico sotto processo. Per distruzione di documenti. «E' un processo assurdo, non va mai avanti, e indub blamente ostacola l'associazione», commenta. E allora? Insistiamo, dicono all'assemblea. Non cambierà nulla, ma è una questione d'onore Tutti d'accordo? Tutti, salvo i duri Come Scarello. «Guardi, a me del foglio matricolare non importa. Sem mai voglio che l'esercito dica che sono stato alle sue dipendenze dal '57 al '90. L'associazione l'abbiamo fondata noi, in Friuli: a me interes sa per rivederci, parlare, mangiare e poi tornarsene a casa. I nostri nomi non dovevano essere dati. Tutto qui. A questo non c'è rimedio. Anzi sa che le dico? Se a Roma ci danno un riconoscimento, neppure lo prendo». Senta, perché l'ha fatto? «Ero giovane. Avevo le mie idee. Da italiano. Pensi che mio figlio è stato il più giovane gladiatore d'Italia. Lo stavano arruolando quando sono usciti gli elenchi. Ora è militare in Bosnia». Ma lei, lo rifarebbe? «Beh, le dico solo una cosa: a casa non posso più parlare di Gladio. Mia moglie si è proprio stufata». Mathieu: «Quel che ci tiene insieme è un torto subito» Gironda: «Andiamo dal garante Rodotà» L'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga «E' nostro socio d'onore»

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