Ma dove vanno a finire i nostri soldi ai partiti? di Lorenzo Mondo

Ma dove vanno a finire i nostri soldi ai partiti? F PANEALPANE =1 Ma dove vanno a finire i nostri soldi ai partiti? Lorenzo Mondo CHIODO scaccia chiodo. Avvenimenti di maggiore grandezza o di più forte presa emotiva (dalla guerra balcanica alla reviviscenza del terrorismo) hanno fatto passare alla chetichella tra la gente distratta il finanziamento pubblico dei partiti. Nei giorni scorsi la Camera ha dato il via (279 voti a favore e 130 contrari) alla legge che prevede ogni volta un rimborso elettorale di 4000 lire per ciascuno dei 45 milioni di elettori. Che lo vogliano o meno. Infatti non soltanto viene disatteso un referendum che si è espresso quasi plebiscitariamente contro; ma non si tiene conto neanche dell'irrisoria risposta dei contribuenti all'appello del 4 per mille. I refrattari avrebbero potuto trovare una estrema risorsa nell'astensione dal voto. Ma questa non esime dal versamento deli obolo: basta essere iscritti alle liste elettorali per diventare finanziatori. Insomma, una gabbia fatta bene, per rinchiuderci la sempre celebrata sovranità popolare. Quali le ragioni portate in soccorso del finanziamento? Si rammenta anzitutto che la politica ha un costo ed è bene che venga sostenuto in modo partecipato e scoperto. Si scongiurano così il peso soverchiarne dei «poteri forti» e l'inquinamento che ci ha portati a Tangentopoli. In fondo ne sono persuasi anche i cittadini che, magari mugugnando, vanno a votare ed eleggono «questi» rappresentanti. E del resto il finanziamento pubblico dei partiti è pratica corrente nei Paesi europei di più forte tradizione democratica. Sono rilievi ampiamente condivisibili. Ma i politici hanno bisogno del consenso come l'aria. E ottenere il consenso di chi non consente non sarà una impresa titanica e alla fine perdente? In realtà le oneste argomentazioni e i meno virtuosi «escamotages» non sembrano tenere conto di quello che resta il problema primario: lo scollamento tra politica e società civile. Si finge di non sapere in quale umilissima stima siano tenuti i partiti, visti da molti italiani come una banda strafottente e rissosa di cui non ci si può fidare. Per vincere quelli che sono in parte pregiudizi e in parte cicatrici dolenti c'è un solo modo: garantire una effettiva trasparenza sull'uso del denaro incamerato, previo controllo dei bisogni essenziali (ielle forze politiche. in una società telematica, in un mondo dove i messaggi possono èssere trasmessi via etere, quanto occorre davvero spendere in altre forme di propaganda? Fino a che punto sono necessari certi baracconi, congressuali c no, per l'elaborazione di una linea politica? Non ubbidiscono troppe volte a criteri di deteriore spettacolarità, alla megalomania di giganti e pigmei? E quanto incide una burocrazia pletorica che non ha nulla da invidiare a quella che vigoreggia impunita negli apparati dello Stato? Sono risposte che si vorrebbero avere attraverso bilanci pubblici stilati da persone affidabili. Sono dettagli di cui nessuno ci informa mentre assistiamo alla ricorrente disputa sui principi. Eppure aiuterebbero a ottenere un piti generalizzato, convinto consenso. 11 resto è piccolo espediente, invito surrettizio e furbesco al cittadino perché si faccia complice nel gioco, così diffuso tra noi, del fregarsi a vicenda. ,^de^j