DINI: FEDELI ALLA NATO LEALI NELLA TRATTATIVA

DINI: FEDELI ALLA NATO LEALI NELLA TRATTATIVA Il nostro ministro degli Esteri e il premier della Gran Bretagna: due opinioni sul conflitto in Jugoslavia DINI: FEDELI ALLA NATO LEALI NELLA TRATTATIVA Lamberto Dini UNO spiraglio si è appena aperto a Belgrado, dagli incontri dell'inviato russo Cernomyrdin, Dobbiamo leggervi dentro con cautela e rigore ina non soffocarlo nel dubbio e nello scetticismo. Era possibile che la decisione del Tribunale internazionale dell'Aia rli incriminare Slobodan Milosevic accelerasse i tempi per una soluzione del conllitto. Se questo Sta avvenendo, c'è da esserne incoraggiati Ci siamo consultati con gli altri ministri degli Esteri. Sarò a Washington martedì prossimo per discutere degli sviluppi con il segretario di Stato, signora Albright. Certamente, un'accettazione generica dei principi del GB potrebbe non bastate. Occorre conoscere approfonditamente i contornili delle discussioni con Cornomyrdin e devono giungere segnali conci eli e verificabili da Belgrado, Allora potrebbero schiudersi sviluppi positivi. Sempre, ma mai come dinanzi alle prove di questo scorcio di secolo, la politica estera ha espresso ed esprime identità e carattere di un Paese, del suo popolo e del suo governo. Basta pensare all'Alleanza Atlantica come manifestazione permanente di lealtà e di affidabilità. Affidabilità e leallà da misurarsi con una guerra nei Balcani in alto da due mesi. Nessuno, più di noi, porta .alile piopiie spalle il peso del coni litio europeo più grave degli ultimi cinquant'anni l'in duro è il no Siro compilo, perché dal nostro territorio si levano ogni giorno strumenti di distruzione e di morte; perche siamo in pi una linea con uomini e mezzi; perché siamo i più esposii agli effetti destabilizzanti del conflitto. Pel questo, ma certo non solo pei questo, accanto a una coerente solidarietà con gli altri, il governo italiano, l'orse più degli altri, corca di tenere apeito il canale del negozialo. Come aveva detto una volta John Kennedy «non biso¬ gna mai negoziare per paura ma non dobbiamo mai avere paura di negoziare». Il Kosovo, la ex Jugoslavia, sono un terreno diffìcile, dove si vogliono scacciare dalla nazione i diversi, dove criminali violenze ed espulsioni di massa di popolazioni inermi tornano ad essere, purtroppo, forme non inconsuete della politica. Nei Balcani si avvertono più che altrove, è stato ricordalo, i riflessi della storia, non ancora conclusa, delle tre grandi fratture europee del nostro secolo: le due guerre mondiali e lu caduta dei sistemi comunisti. Siamo intervenuti, nell'Alleanza Atlantica, per non consentire il regno della barbarie e del caos. Nella guerra si fronteggiano non solo forze militari ma anche storie, Paesi, culture. La Nato cercu, con la superiorità della propria forza militare, di ricondurre al rispetto dei principi sui quali soltanto potrà costruirsi un futuro di pace e stabilità in Europa. Dall'ultra parte c'è un governo che hu alimentato inuccettabili fonne di repressione e di negazione dei diritti fondamentali. Un gruppo di potere che dovrà ora rispondere dinanzi a una Corte internazionale. Mu intorno a questo gruppo di potere c'è un popolo in rovinìi, che rischili di dover tornure indietro di quulche decennio, privato delle industrie, delle infrastnitture, dei sistemi di trasporto costruiti con faticose rinunce. Un po|iolo che sembra talvolta vivere di un mito falso e pericoloso, di unu propria capacità di sopportuzione e di .sacrificio. Noi conduciamo una guerra aspra e forse; impietosa. Ma essa sarà politicamente e moralmente accettabile alle nostre opinioni pubbliche a una sola condizione: che si sia disponibili u dialo gare e che il rifiuto venga dall'altra parte. E" l'altra parte, lo abbiamo detto più volte, che deve piegarsi alle esigenze del mondo civile, espresse nel piano di pace del G-8, per fare uscire l'esercito jugoslavo dui Kosovo e uccettare una forzu militare multinazionale che proteggali ritorno dei profughi. Abbiamo iniziato l'ufnTna* guerra di questo secolo per non essere passivi dinanzi alla deportazione di mussa di un popolo. A un Tribunale internazionale spetta il giudizio su¬ gli individui, a cominciare da Slobodan Milosevic. Ai serbi compete di chiedere alla propria dirigenza poli- • ticu di dar conto del disastro. Questi, dunque, sono i termini entro i quali si costruisce la nostra leultà atlantica. Affinché, anche nel mezzo dellu guerra, si continui u far JS9 fn ™r politici! con coraggio e chiurezza. Perché anche i Balcani possano sperar» di tornare a far parta del vecchio continente e non comincino, invece, fra poco, in quei Paesi, un inverno senza futuro e un presidio straniero senzu fine. ministro Affari Esteri «Questa guerra impietosa sarà politicamente e moralmente accettabile alle nostre opinioni pubbliche purché si sia disponibili al dialogo, e il rifiuto venga dall'altra parte» «Dobbiamo vincere, e vinceremo, se vogliamo che i nostri figli crescano in un mondo sicuro Affinché la lotta dei nostri genitori contro il fascismo negli Anni 40 non sia stata inutile» «Johnny va alla guerra» Illustrazione di Murray Tinkelman In alto, un profugo albanese addenta una pagnotta «Johnny va alla guerra» Illustrazione di Murray Tinkelman In alto, un profugo albanese addenta una pagnotta

Persone citate: Albright, Cernomyrdin, John Kennedy, Lamberto Dini, Murray Tinkelman, Slobodan Milosevic

Luoghi citati: Belgrado, Europa, Gran Bretagna, Jugoslavia, Jugoslavia Dini, Kosovo, Washington