Flamigni: forse è fumo negli occhi di Daniela Daniele

Flamigni: forse è fumo negli occhi IL PASSATO CHE RITORNA E I SOSPETTI DEL COMPLOTTO INTERNAZIONALE Flamigni: forse è fumo negli occhi «E'prioritario far luce sul delitto D'Antona» intervista Daniela Daniele ROMA SERGIO Flamigni per quasi vent'anni è stato parlamentare del Pei. E, in passato, componente delle commissioni d'inchiesta sul caso Moro, sulla Loggia P2 e Antimafia. Onorevole, che effetto le fa sentire che rispunta l'ipotesi di un ((grande vecchio» dietro le Brigate rosse? E che si trattava di un musicista di fama internazionale? «Dubito che possa essere stato lui. E, francamente, lasciatemi dire che il fatto che si tiri in ballo, adesso, mi personaggio scomparso da tanti anni, m'insospettisce». Che cosa teme? «Che si voglia gettare polvere negli occhi, rimestando il caso Moro, peraltro mai del tutto chiarito. In ogni caso, adesso è un altro evento ad avere la precedenza: il caso D'Antona. E su questo bisogna fare luce piena». Lei è critico sulla scelta del momento per riparlare di Moro. Eppure il presidente della commissione Stragi Pellegrino, fa riferimento a un'tdpotesi indagativa seria». «Se si tratta di un'ipotesi indagativa seria, allora, andava tenuta assolutamente segreta e non riportata ai quattro venti. Almeno fino a quando gli elementi da ipotetici non si fossero fatti ben concreti». Ci sono le connessioni tra il falso comunicato numero 7 delle Br, l'allusione al lago della Duchessa, il fatto chela duchessa potesse essere la moglie di Markevitch e che quest'ultima, una Caetani, avesse lo stesso nome della via dove fu ritrovato il corpo di Aldo Moro. Dove, peraltro, c'è il palazzo di famiglia. Secondo lei, sono solo fantasie? «Potrebbe esserci qualcosa di vero. Di certo il comunicato numero 7 conteneva un messaggio per i brigatisti, del genere ' concludete". Ma a elementi ben più concreti non fu prestata attenzione». A che cosa si riferisce? «Alla telefonata di quel tal Puccinelli, amico di Moro e direttore di un'associazione culturale, al capitano La Bruna. Gli disse che bisognava cercare in via Gradoli. E trovare una casa con un'antenna che serviva da collegamento con una postazione al lago della Duchessa. Bisognava cercare un ponte radio collegato con il Nord. E quando si scopri il covo di via Gradoli, troppo tardi, ci fu la conferma che aveva ragione. Del resto, il brigatista Moretti era un esperio di ponti radio». Nei suoi libri, da ((La tela del ragno», a «Il mio sangue ricadrà su di loro», all'ultimo, ((Convergenze parallele», del '98, lei sostiene la tesi del grande complotto internazio¬ nale per spiegare il fenomeno delle Br. Ne è sempre convinto? «Più che mai. Dagli omicidi Ruffilli, Giorgmi, Tarantelli, a quello di Hunt, assassinio avvenuto a Roma nell'84 e rivendicato dal Fari, gruppo estremista libanese, a quello del presidente della Deutsche Bank, Alfred Herrhausen, nell'89, ad opera di Br e Raf, alla scoperta, nel '93, del progetto di rapire l'allora sottosegretario tedesco Hans Tietmeyer, per ucciderlo in territorio italiano, il disegno è lo stesso: destabilizzare». Il caso D'Antona rientra, secondo lei, nel progetto? «Sono portato a crederlo. Nel leggere il documento firmato Br ho trovato segni del passato. Ma soprattutto una caratteristica sulla quale, secondo me, ci si è troppo poco soffermati. In questo documento si prende la stessa posizione che è della Raf: non è importante il consenso delle basi rosse, del proletariato. Quello che conta è l'efficienza militare, basata sulla compartimentazione e sulla clandestinità».

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