«Costrinse la moglie a una via da cani» di Maria Laura Rodotà

«Costrinse la moglie a una via da cani» LA VITA PRIVATA PEI MUSICISTA frOCHE MANIrfS»ION] D'AFFETTO E TANTI TRADIMENTI «Costrinse la moglie a una via da cani» E chiamava «il mostro» un figlio handicappato personaggio Maria Laura Rodotà n nobili fiorentini, che sono I sempre molti e ci tengono H molto a esserlo, ieri erano sbigottiti. Nessuno di quelli che ricordano Igor Markevitch aveva mai pensato che fosse legato alle Br; anche se molti sottovoce dicono che mai come nel suo caso c'era motivo per sparare sul pianista. U meglio sul direttore d'orchestra: «Certo era un po' ombifiso», anzi «un po' rustico»; (! poi «lui era molto di sinistra, diceva proprio di essere comunista; però sovietico». Ma soprattutto «aveva fatto fare una vita da cani alla povera Topazia». Che a poco più di vent anni, principessa romana vispa, aveva incontrato e sposato il nobile musicista russo nato a Kiev nel 1912, ma vissuto in Svizzera dai quattro anni in poi. Che aveva studiato a Parigi; aveva composto un concerto per pianoforte per il creatore di balletti Diaghilev e molte altre cose; aveva sposato in prime nozze Kira, figlia del grande ballerino russo Nijinski; aveva diretto il Maggio Musicale Fiorentino dal 1945 al 1947; era cittadino italiano dal 1948. Il matrimonio tra la bella principessa (figlia di una famosa dama fiorentina romanizzata, Cora Antinori Caetani) e il russo ex partigiano (aveva collaboralo coi Gap di Firenze) era stato un disastro. Durante i quasi quindici anni di matrimonio (si separarono nel 1964) avevano avuto quattro figli; l'ultimo era nato gravemente handicappato, e Markevitch lo rinfacciava continuamente alla moglie, chiamandolo, davanti a lei, "il mostro". Quando il figlio morì, lui era in tournée e lei gli mandò un telegramma. Lui gliene mandò un altro, affettuoso: «Seppelliscilo e non dimenticartelo mai più». In aggiunta a queste tenerezze di marito e padre, Mar¬ kevitch tradiva continuamente la moglie. Generalmente con donne più anziane. E quando la lasciò, Topazia si lamentò con le amiche: già sarebbe stato duro venire abbandonata per una ragazzina, per una vecchia era francamente umiliante. E deprimente; per lei a cui avevano insegnato che, se uno era nato principe, faceva le cose giuste. Tra le quali c'era stato il gran ballo regolamentare dei diciott'anni all'hotel Excelsior di Roma; ma anche, durante la guerra, un gran lavoro da crocerossina. E forse le era parsa una cosa giusta, e romantica, sposare il musicista russo (opportuna¬ mente di nobili origini) che aveva composto musiche con titoli come «Icaro» e «Rebus». E che aveva celebrato la città della sua mamma (anche lei originale, e convinta che i borghesi portassero cattivo odore in casa) con la cantata «Lorenzo il Magnifico». A Firenze, fino al 1945, Markevitch era vissuto ospite del famoso critico d'arte inglese Bernard Berenson nella sua altrettanto famosa villa sulle colline, I Tatti. E a Firenze continuò a tornare tutta la vita; anche se quelli che lo conoscevano dicono di non ricordare che avesse una casa. La sua base, da sempre, era la Svizzera, e una villa sul Lago di Ginevra. Anche se era sempre in giro, anche durante il secondo matrimonio italiano: negli Anni Cinquanta a dirigere orchestre tra Montreal, Parigi, L'Avana. Negli Anni Sessanta a Mosca, a organizzare la scuola per direttori d'orchestra, a Monaco e a Madrid. Finché, nel 1972, arrivò a Roma, direttore dell'orchestra e del coro dell'Accademia di Santa Cecilia, e rimase fino al 1975. Poi si dedicò a un'edizione enciclopedica delle nove sinfonie di Beethoven, diresse sempre meno per progressivi disturbi all'udito, scrisse saggi musicali; e morì d'infarto come era vissuto, cioè in una località elegante, Antibes sulla Costa Azzurra. Ricordato con rispetto dai musicofili, con scarsa simpatia nella città in cui avrebbe ospitato riunioni Br. I nobili amici della povera Topazia ne parlano male, chi si occupava di musica come lui lo difende. Lo fa il critico Leonardo Pinzauti, che lo definisce «raffinato», «abituato alle dolcezze russe» e «uomo da salotto, quasi». E del primo periodo fiorentino resta un libro, «Made in Italy», in cui Markevitch racconta le sue esperienze partigiane. Ora qualcuno lo rileggerà, cercando di capire da dove veniva e come era fatto il «consigliere aulico», lo strano e sofisticato pianista che forse amava quelli che sparavano.