La Russia della memoria negata di Barbara Spinelli

La Russia della memoria negata TRA GLI ULTIMI ARCHIVISTI DELL'ORRORE La Russia della memoria negata // velo di oblio sui crimini del comunismo segue dalla prima Barbara Spinelli MOSCA ■ L monastero profanato fu uno ,'j dei primi Lager, messo in funH zione sin dai tempi di Lenin. Sulla pietra una scritta - «Questo sasso proveniente dal Lager di Solovki è stato portato qui dall'organizzazione Memoria], in ricordo di milioni di vittime del regime totalitario: il 30 ottobre 1990» - ma rari passanti notano il sasso sepolcrale e l'iscrizione. Sulle panchine qualche giovane, e madri che portano i bambini a passeggio. Pochi sanno dirti cosa stia a significare quella pietra, paracadutata lì nove anni fa. Pochi conoscono l'esistenza della laconica iscrizione. La scheggia dell'orrore di Solovki fu paracadutata qui nove anni fa perché allora tanti spiragli sembrarono per un attimo possibili: la rinascita spirituale e la catarsi della nazione, il ricominciamento di una storia non più congelata dall'ideologia, il riepilogo dei neri ricordi, il disvelamento dell'immane auto-inganno mentale che era stato il comunismo. Poco tempo prima, nell'88 durante la Trasparenza-Glasnost di Gorbaciov, era sorta l'associazione Memorial, che si dedicò con tenacia a raccogliere le testimonianze di oltre settantanni di crimine comunista: le liste degli antirivoluzionari assassinati e la ricerca dei luoghi segreti di esecuzione nelle periferie delle città, gli elenchi dei Lager e delle innumerevoli fosse comuni, il ricordo delle deportazioni di popoli interi e dell'annientamento di classi borghesi o contadine nelle collettivizzazioni. La tenacia di Memorial rimane intatta, solo che nel frattempo lo scenario è mutato e non esistono più gli iniziali ardori.né la sete ràrrimemorante del '91. A malapena si è potuto erigere il monumento davanti alla Lubjanka, e negli stessi anni sorse la stele commemorativa dello scultore Ernst Neizvestny, nell'universo concentrazionario di Magadan in Siberia. Alla sede di Memorial mi raccontano l'ultimo progetto, ancora incompleto: quello di restaurare un Lager nei pressi di Perm, e di trasformarlo in luogo di meditazione simile a Auschwitz. Ma Memorial non è più l'organizzazione che lo spazio di un mattino fu al centro di una moltitudine di attenzioni, di premure. Vado a trovare gli archivisti dell'orrore e l'ostinato Arsenij Roginskij, presidente dell'associazione, e scopro una palazzina nell'angusto Vicolo dei Carrozzieri, al centro di Mosca, con scarne povere stanze e piccoli gruppi di entusiasti che lavorano per misere paghe. Scopro anche che Memorial non ha rapporti con le istituzioni del Paese, che lo Stato non gli riserva né sostegni di simpatia né aiuti finanziari, che non esiste osmosi d'alcun tipo fra lo Stato semidemocratico sorto sulle rovine dei Muri e il centro che raccoglie dati sulle sofferenze inflitte dal totalitarismo. La volontà di oblio sommerge queste schegge di coscienza durevole, pervicace. Le ha condannate alla marginalità, all'irrilevanza. Era parso che il comunismo fosse sparito e invece eccolo ormai di ritorno: nelle nomenclature che possiedono imprese vitali del Paese, nella Duma dove le élite nazional-comuniste dispongono della maggioranza oltre che della presidenza parlamentare. Sono élite ostentatamente orfane dell'ideologia di ieri. Sono disposte a sposare qualsiasi ideologia opportuna - capitalistica, autocratica, nazionalsocialista - ma una cosa rifiutano ad ogni costo: l'autocritica del passato, la sua rammemorazione e la sua condanna storica. Il loro motto recondito è ampiamente condiviso anche a Occidente, ma in Russia echeggia sinistro, minaccioso: «Il comunismo non si processa». Né il comunismo della Kolyma e delle deportazioni di popoli, né l'ultimo nazionalcomunismo di Milosevic in Serbia. E ancora: le resistenze anticomuniste non avranno una legittimità paragonabile all'antifascismo, quindi non otterranno riconoscimenti. Il comunismo è un'idea completamente sconnessa, incontaminata dalla prassi. L'ideologia incarnatasi nei Gulag è una vetusta, noiosa, sorpassata affabulazione: una fissazione patologica di qualche invasato, o del sospetto Tribunale dell'Aja per i crirnini nell'ex Jugoslavia. «Proprio così ci vedono - esordisce Roginskij -. Ci vedono come setta assillante, bizzarra, soprat- / tutto quando ci battiamo per i risarcimenti delle vittime, o per ottenere l'apertura effettiva degli archivi Kgb, o per avere chiarimenti sui luoghi dove avvenivano le fucilazioni dei politici. Negli ultimi dieci anni ne abbiamo scoperti due alle periferie di Mosca: Butovo e Kommunarka. Ci guardano attoniti in Parlamento, nelle sedi di giustizia - quasi parlassimo di un passato remotissimo. Quasi fossimo d'impedimento a quest'ennesima Modernità Assoluta - priva d'ogni sedimentazione storica, di ogni albero genealogico - che il neocomunismo decreta ancora una volta, per sbarazzarsi di eventuali responsabilità. Nel '92 si tentò un processo contro il comunismo - qui a Mosca - che presto finì nel nulla. Noi di Memorial predisponemmo una vastissima documentazione, frutto di faticoso lavoro, ma quando presentammo il materiale al Tribunale, il Presidente della Corte ci scansò con infastidito gesto della mano, quasi fossimo mosche: «Cosa sono tutte quelle scartoffie? - proprio così ci interpellò - La Corte è qui per giudicare gli ultimi tre anni, e voi venite con i vostri manoscritti di Qumran: roba illeggibile! Ammuffita! D'altri tempi!». E' lo stesso ragionamento che mi fanno i comunisti neo-nazionalisti, che incontro alla Camera: «Non si può continuamente rivangare nel passato - mi dice Mikhail Gutseriev, uno dei vicepresidenti della Duma - e anche se continuiamo a chiamarci comunisti non abbiamo rapporti coi tempi di ieri. D'altronde non è accaduto lo stesso, in Italia? Non avete fatto una croce anche voi, su Mussolini?». E quando obietto che no, che la Repubblica italiana è nata sulla memoria dell'antifascismo mentre l'anticomunismo non ha mai avu- to questa funzione rifondatrice nei paesi post-totalitari, lui mi guarda con ironia, e inestirpabile sicumera: «Sì, in questo la Russia è diversa. Ma anche noi siamo diversi da come eravamo, sicché che senso ha oggi l'anticomunismo?». Tuttavia, non pochi democratici che incontriamo lamentano questa memoria negata, divorata dai malesseri economici indubbiamente grandi, quotidiani, sofferti dalla popolazione. A Memorial mi dicono che sono malesseri più che comprensibili, ma che la paralisi della memoria non ha sempre a che vedere con essi. «E' una paralisi deliberata», mi spiega Roginskij. «Una paralisi che offende migliaia di reduci dai Lager, che si vedono risarcire con pochi rubli il dolore che hanno patito: tre quarti dello stipendio minimo, appena 4 dollari per ogni mese trascorso nei Gulag. Io ad esempio ho passato quattro anni nei Lager e ho diritto a 96 dollari. Quanto ai contadini espropriati delle terre, degli averi e del bestiame durante la collettivizzazione, è un'elemosina che ricevo- no, se le cose vanno bene: 500 dollari al massimo». E il mio interlocutore continua: «Sì, la povera gente ha ragione a spazientirsi. Fa letteralmente la fame, in alcune regioni o periferie. Ma senza memoria non si può pensare a una ricostruzione spirituale della nazione, a una costituzione libera che opponga un argine a nuove minacce totalitarie, integraliste. Che ci protegga dal virus - assai potente, oggi - del neonazismo, del razzismo etnico. Memorial si occupa anche di queste risorgenti piaghe totalitarie, fasciste-bolsceviche o naziste antisemite, e ogni giorno constatiamo come la memoria negata del comunismo faciliti la legittimazione di nuove forme fascistoidi di totalitarismo». Roginskij mi mostra le decine di giornali nazisti o nazi-bolscevichi, che circolano in Russia. Leggiamo insieme titoli, vignette, brani di articoli. L'antisemitismo è la colla che cementa i vari fogli. La propaganda dell'ultima guerra esibiva, come nemico totale, la figura del tedesco. Gli stessi manifesti bellici vengono riprodotti nei giornali, solo che al posto del tedesco c'è adesso l'ebreo. E' vilipeso come ebreo clandestino il sindaco di Mosca Luzhkov (che pure non nasconde xenofobie anti-caucasiche), assieme ad altri dirigenti. Sono calunnie e slogan che circolano impuniti, indisturbati. A dispetto dei cambiamenti promessi da Kit sin non e scomparsa la menzione «Ebreo», nei passaporti russi. Né sono scomparse le sottili discriminazioni razziali, A dispetto delle promesse del sindaco di Mosca - che pure si dice socialdemocratico - è sempre impresa scabrosa e onerosa per un russo non moscovita, restare nella capitale senza pagare più volte nella settimana il permesso di soggiorno. Un giorno il sindaco volle addirittura introdurre un decreto che espelleva i caucasici dalla città. Poi cambiò idea, perché le idee vengono e vanno rapide e inspiegate, da queste parti. Roginskij spiega così i tanti disinganni: «Il fatto è che Eltsin ha sempre usato l'anticomunismo come arma politica, per combattere i concorrenti nella corsa al potere. Appena abbattuto il rivale, l'anticomunismo diventava qualcosa di affatto irrilevante. Qui nessun comunista ha mai dovuto rendere i conti a nessuno». «Come si può pensare in queste condizioni - mi dice il deputato liberale Konstantin Borovoy, alla Duma - di ricostruire il senso della nazione e dello Stato in maniera liberale, come fecero i tedeschi occidentali dopo il 45? La Russia di oggi fa pensare alla Germania del '48-'50. Non era certo mutata subito, la mentalità dei tedeschi: oltre il 70 per cento reclamava il ritomo dei nazisti. Ma la Repubblica federale imboccò un cammino diverso, e non solo perché le democrazie liberali la sconfissero e la tennero occupata. La Germania fu obbligata a ricostruirsi spiritualmente grazie a un'immensa operazione propagandistica fondata sull'antinazismo, protrattasi per decenni e ancor oggi viva, vigile. Mentre da noi, questo tipo di propaganda liberal-anticomunista è stata fin da principio bandita, quasi si trattasse di una sconvenienza. Bandita da pressoché tutti, non solo dalla maggioranza della Duma. Bandita da molti dirigenti americani, da buona parte degli europei occidentali: di sinistra innanzitutto ma non solo di sinistra. Per costoro è sempre leggermente indecente, paragonare nazismo e comunismo. L'inviato di Clinton a Mosca per esempio, Strobe Talbott, aggrotta subito le sopracciglia se qualcuno qui impiega la parola "anticomunismo": vocabolo nonnaie, per ogni democratico russo che si rispetti». Della mancata rottura con il comunismo son responsabili i russi, e le loro élite. Ma spesso son chiamati in causa anche l'Europa, l'Occidente: per non aver voluto mettere i russi alle strette, per non aver commemorato le resistenze anticomuniste, per non aver denunciato con forza i crimini sovietici contro l'umanità. Più volte nelle mie investigazioni ho cercato di porre la stessa domanda: perché c'è tanta sapienza di memoria dell'annientamento ebraico, mentre il Gulag sprofonda nell'oblio, nel silenzio? Vero è che non fu immediato il culto ebraico della memoria, ma a cominciare dai primi Anni 60 esso si sveglio, diede vita a una vera e propria politica europea della memoria: memoria dell'orrore che non si voleva ripetere, dei tabù civilizzatori che urgeva instaurare. Possibile che poco o nulla resti della memoria del comunismo, che in ex Urss non esistano tabù lessicali né culturali, che dopo un periodo di pudico silenzio non si manifesti anche qui l'urgenza del ricordare, del rendere omaggio agli annientati, ai resistenti? «C'è in parte il silenzio delle vittime», mi spiega Roginskij. 'Alcuni tacciono perché son stati liberati 40 anni fa, e la stanchezza li invade. Ma i più hanno semplicemente paura che il regime non sia in fondo cambiato. Continuamente vengono da noi, ci consegnano manoscritti che tengono per anni nei cassetti, sul Gulag che hanno vissuto. Solo qui a Mosca, Memorial custodisce almeno 250 manoscritti». C'è poi la natura esoterica, profondamente settaria, che il comunismo non ha mai cessato di avere. E' quanto mi spiega un sacerdote ortodosso a vocazione ecumenica, padre Sergej Tchistiakov: «Perdura la convinzione che il comunismo sia buono in teoria, e malvagio solo nelle sue occasionali traduzioni pratiche. E' una sorta di dottrina esoterica che finisce con lo scagionare il totalitarismo: ogni cittadino capiva perfettamente le menzogne dell'ideologia regnante, da noi, ma nell'intimo era persuaso che esistesse un qualcosa di inesprimibile, di non dicibile, la cui essenza restava buona: una specie di Graal esoterico, per l'appunto. E' la psicologia della setta che dà al comunismo un carattere stranamente imperituro: e si sa quanto sia forte oggi il fascino delle sette, non solo in ex Urss).. La stessa Chiesa ortodossa coltiva questa psicologia di setta partitica, esoterica. Padre Sergio è inflessibile, con le gerarchie ortodosse. Molti preti che si occupavano di carità o professavano l'anticomunismo sono stati spretati, o scomunicati. Nell'ultimo decennio, la chiesa di Stato non si è preoccupata che di liturgia, e invece di amore per il popolo sofferente non ha mostrato che severità, unitamente a un'inestinguibile complicità con i poteri passati e presenti. Le attivita caritatevoli sono praticamente inesistenti, guardate sovente con sospetto. E il più delle volte, la dottrina ortodossa è un surrogato della vecchia dottrina di partito: uno strumento indispensabile per far carriera, per conquistare posti e poteri. Per liberarsi del passato, i neopanslavisti insistono sul carattere forestiero di settantaquattro anni comunisti. E' la tesi dei nazionalisti slavofili, tra cui l'ex dissidente Shafarevich: «Il comunismo è merce importata dall'Occidente: non c'entra nulla con la storia e l'anima russa». E' un modo comodo per evitare le responsabilità d'un secolo di storia. E' un'ennesima ideologizzazione della Russia: che la esalta come nazione eletta o reietta. Umiliata comunque, dal lutto d'un impero. Così umiliata, che nel patimento ogni crimine evapora, e tutti si confondono: innocenti e carnefici, vittime e colpevoli, profittatori e spossessati d'ogni bene. Echeggia sinistro il motto della nomenklatura sopravvissuta a tutte le riforme «L'Unione Sovietica non si processa» «Le vittime tacciono perché sono state liberate 40 anni fa, e la stanchezza le invade. Ma i più hanno semplicemente paura che il regime non sia cambiato» Il presidente della associazione che ricorda l'abominio dei Gulag: «Ormai ci guardano attoniti come se parlassimo di un passato remotissimo» «Senza guardare indietro alla nostra storia recente non sarà possibile una ricostruzione spirituale che ci metta al riparo dai totalitarismi» Una manifestazione di nostalgici dell'Unione Sovietica sulla piazza del Cremlino. Anche dopo il tracollo dell'Urss, in Russia l'anticomunismo non è riuscito ad avere la legittimazione ottenuta dall'antifascismo in Occidente II leader del pc Ghennadi Ziuganov