Placido: «Mi ha fatto una gran pietà»

Placido: «Mi ha fatto una gran pietà» L'ATTOR& NEI PANNI DJ UN TELf PIVO DIVERSO Placido: «Mi ha fatto una gran pietà» «Recitando Usuo personaggio ho capito che cosa provò» intervista Simonetta Robìony ROMA Michele Placido non conosceva Enzo Tortora né era un suo ammiratore. «All'epoca, ricordo, anch'io come molti pensavo che fosso colpevole», confessa. Sono gli ultimi giorni di riprese. A metà giugno il set chiude perché il film deve essere in sala per l'autunno e Placido, che da più di un mese sta studiando il personaggio di Tortora, ammette: «La cosa più difficile per me è stato portare sullo schermo quel suo certo disprezzo intellettuale, quel sussiego che lo rendeva poco amato dai colleghi. Contarello, lo sceneggiatore, è convinto che a farci credere nella colpevolezza di Tortora, sia stato soprattutto il suo linguaggio forbito che lo faceva diverso dagli altri presentatori e distante dal suo pubblico». Condivide? \ «No. Più semplicemente io credo che la gente non perdona nessuno sgarro a chi dalla vita ha avuto denaro e fortuna. Ti esalta finché crede in te, ma se si sente tradita è capace di ogni linciaggio». Tortora era un uomo antipatico? «Non lo so. Certo era superiore sia ai suoi accusatori che ai suoi giudici. E lo faceva vedere». Non teme, Placido, che questo vostro film verrà strumentalizzato? «Nel senso che verrà scambiato per un film contro la magistratura? Mah. Ce lo chiedono tutti: ma insomma il vostro film è di destra o di sinistra? Può darsi che i berlusconiani cercheranno di utilizzarlo a loro favore, ma il film non nasce per questa ragione. E poi il caso Tortora segna uno spartiacque: oggi la magistratura è molto più attenta, ì pentiti vengono utilizzati con maggior circospezione, e soprattutto, anche se c'è ancora molto da fare, hanno cominciato a cambiare le regole processuali». Certo, però, oggi sembra rinascere il terrorismo. «La paura di errori giudiziari c'è sempre, soprattutto quando la magistratura è pressata dall'emergenza. Speriamo che le indagini sull'assassinio di D'Antona siano accurate». Davanti a una storia come quella di Tortora viene da chiedersi perché la sinistra di allora rimase in silenzio. «Tortora era un liberalo vecchio stampo di buona famiglia e la sinistra non gli perdonava di aver portato in tv il pappagallo di «Portobello» per compiacere la gente. La battuta che girava allora, tra gli intellettuali era: «Anche se è innocente dovrebbero condannarlo per questo». Oggi i tempi sono cambiati. E anche la cultura. Quando giravo la storia dell'avvocato Ambrosoli, il liquidatore della banca di Sindone ucciso dalla mafia, temevo di essere attaccato perché Ambrosoli era un uomo dichiaratemente di destra. Invece la sinistra capi e apprezzò il film: anche loro, onnai, s'erano convinti che un uomo va giudicato dal rigore e dall'onestà con cui opera». L'ha emozionata girare la scena in cui Enzo Tortora viene mostrato alla stampa con le manette ai polsi? «Farà sorridere, ma un attore se non si emoziona non può recitare. Scendevo le scale della questura con lo stomaco contratto. Ho pensato a quel che deve aver provato lui, in quel momento. M'ha fatto una grande pietà».

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