Tortora, manette choc a «Un uomo perbene»

Tortora, manette choc a «Un uomo perbene» Il regista Maurizio Zaccaro ha girato ieri il ciak più drammatico e realistico del suo film Tortora, manette choc a «Un uomo perbene» ROMA Fa un gran caldo sotto il sole, nel cortile della caserma dei carabinieri al Celio. Il caldo, però, non impedisce al regista Maurizio Zaccaro di girare e rigirare per due ore sempre la stessa scena: il trasferimento di Enzo Tortora dalla questura a Regina Coeli. E' una delle sequenze più importanti del film «Un uomo per bene», questa, perchè Tortora fu trattenuto a lungo in questura per dare il tempo alla stampa di arrivare sul posto; perché fu mostrato privo di ogni dignità alla folla di curiosi, cronisti e fotografi come si può far vedere una bestia ferita; perché la foto di lui con le manette ai polsi fu sparata in tutti i telegiornali e non ci fu quotidiano che non la pubblicò; perché il suo calvario di uomo pubblico accusato di esser un camorrista di Cutolo e un traf fi-, cante del clan Turatello, cominciava proprio in quel momento. Michele Placido che fa Enzo Tortora scende lentamente le scale del commissariato scortato dai carabinieri. Le comparse, tante, chiamate a far la parte dei giornalisti e dei fotografi di allora, gli si fanno intorno gridando: «Enzo, Enzo guarda qua», «I polsi, i polsi. Fai vedere le manette alla telecamera». «Tortora, ma non li conosce quei due che hanno parlato? Non c'è stata per caso una disattenzione? Un contatto con qualcuno? ». Placido si guarda intorno, circondato da quella folla che sbraita e mormora, a testa bassa: «Mai, mai. Mai una volta. Mai... avete capito? ». Le comparse, però, non hanno nè la violenza nè la foga dei veri cronisti di nera. Si spingono con educazione, senza quel fremito interno che muove chi fa il giornalista quando., avverte la paura di esser fregato dai colleghi e non spintonano quanto dovrebbero. E Maurizio Zaccaro paziente fa ripetere la scena. Per spiegare bene il caso Tortora al cmema, occorrerebbero più film. Uno per parlare della «giustizia ingiusta» di cui Tortora, condannato in primo grado a dieci anni, è diventato un simbolo, tanto che, dopo il suo caso, fu riscrìtto il codice di procedura penale per impedire che potessero ripetersi questi errori giudiziari. Uno per raccontare il crollo e lo smarrimento di un uomo innocente travolto in un processo infamante da un gruppo di pentiti mal utilizzati dalla magistratura. Un terzo per illustrare il rapporto devastante tra la stampa e il personaggio televisivo, all'epoca dell'arresto all'apice della popolarità con «Pori oboi lo». «L'immagine di Tortora in manette significava schierarsi immediatamente per la sua colpevolezza», dice Zaccaro, «E peggio fu dopo, quando i giornali, per denigrarlo, arrivarono a diffondere notizie false». «Un uomo per bene», non potendo affrontare l'intera vicenda, che va dall'83, data del suo arresto, all'88, anno della sua morte per cancro, affronta solo il processo di primo grado come fosse un vero giallo giudiziario. A partire da quei famosi centrini che due detenuti avevano spedito a Tortora perché li mostrasse al mercatino di «Portobello» senza avere da lui alcuna risposta. [si.ro.] Nella ricostruzione di una vicenda che è diventata il simbolo della «giustizia ingiusta» U dramma umano del conduttore dato in pasto a folla e cronisti Mina od Asti Anche il teatro riscopre Enzo Sarà una coincidenza, sarà un segno dei tempi, ma due creazioni di spettacolo sul caso Tortora sono già un fatto degno di atten zione, quasi una anomalia. Non solo il cmema, dunque. Anche il teatro affronta la vicenda di un uomo che dalla giustizia ha avu to soltanto l'ingiustizia, lo scandalo, la devastazione. L'opera andrà in scena ad AstiTeatro il 27 il 28 i E' t ri Qui accanto Mariangela Melato, che interpreta Anna, la sorella di Enzo Tortora. A destra Michele Placido ieri a Roma mentre gira la scena delle manette, e le drammatiche immagini dell'arresto di Tortora

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