«Troppe minacce, ho paura»

«Troppe minacce, ho paura» «Troppe minacce, ho paura» «Da sei anni sotto scorta, ora me ne vado» personaggio Fino Corrias MILANO . A faccia disfatta e occhi cupi, parla pianissimo, tormenta sigarette e accendino. Dice: «Non dormo da ieri, tutto mi sembra allucinante, feroce. Sono passato a trovarla in ospedale. Lei sta male e io devo andarmene». Andarsene dove? E perchè? «Via, lontano da qui. I motivi non ho bisogno di spiegarglieli». Protetto? «Certo». E' in una strana bolla d'aria Guglielmo Sasinini, 49 anni, giornalista, inviato di «Famiglia Cristiana», collaboratore della rivista «Polizia Moderna», molte amicizie al Viminale, molte tra i magistrati di Palermo, compresi Falcone e Borsellino, compreso Di Maggio, compreso Caselli, ma adesso solo prigioniero di questo strano, inspiegabile buco d'ombra dentro al quale è precipitata sua moglie Katia una trentina di ore fa, la violenza e le minacce, la ferita incisa con un pezzo di vetro e poi quell'ultima frase, prima di infilarle una pagina di libro strappata in bocca: «Questo dallo a tuo marito». Sasinini vive da sei anni sotto scorta. Da molto di più, esattamente dal 1978, si è infilato dentro a storie pericolose - terrorismo islamico, confilitti mediorientali - e alle cronache del nostro terrorismo Brigate rosse, caso Moro - e ai labirinti della criminalità organizzata: dalla mafia vecchia e nuova fino a quelle zone grigie di servizi deviati e criminalità comune raccontate cento volte in decine di processi (omicidio PecorellL banda della Mugliane), ma mai spiegate abbastanza, mai davvero chiarite, tanto da diventare il costante retroscena buono per ogni dietrologia. Lui si muove tra questi drappeggi. E in certo senso ne ha assunto l'insondabilità. Dice di non avere idea delle ragioni plausibili che spieghino la violenza alla sua convivente. Dice di non immaginare il movente. Ma poi ne elenca molti, magari anche in contraddizione tra loro: l'estremismo islamico, la ritorsione malavitosa, l'awertimento mafioso. Dice che ha paura. «Dopo tanti anni la paura è una cosa che mi stupisce e mi spiazza». La sua è una storia abbastanza speciale. Dice don Zega, ex direttore di Famiglia Cristiana: «E' uno che ha lavorato in maniera diretta, quasi esclusiva sulle storie più misteriose di questi anni. Ha avuto avvisaglie di ritorsioni, molte minacce. Non si è mai fermato. Ha una certa ostinazione. E le sue storie non hanno mai avuto smentite». Seduto al bar, di fronte alla Questura («ho verbalizzato per sei ore»), snocciola nomi, episodi, inchieste fatte, minacce subite, cita Andreot- ti, sospira quando parla di servizi segreti, butta lì il nome di D'Alcuna, torna a Moro, passa a Riina. Si capisce la nebbia, si intravedono figure, eventi. Non si afferra mai molto. Quindi lei che idea si è fatta? E lui: «Non ne ho ancora, è troppo presto, mi manca la lucidità... Ma questo è il quadro». Sarebbe a dire? «Il quadro, la cornice...». Ma per esempio lei sospetta che qualche sua ultima inchiesta potrebbe essere la ragione... Dice sicuro e stavolta scandendo bene le parole: «No. Non è mai l'ultimo articolo, ma quello che crei nella continuità». La sua continuità si chiama Libera, l'associazione antimafia che annovera Caselli e pure don Ciotti. «Sono stato tra i promotori della raccolta di firme per chiedere il sequestro delle proprietà dei mafiosi...». Quando quella proposta si è avverata, lui stava seduto a Corleone, in prima fila, il giorno in cui la Provincia ha donato la villa di Totò Riina a mia scuola. Dice: «Queste sono cose che pesano. Queste sono cose che danno fastidio e che magari spingono qualcuno a fartela pagare». Quindi lei sospetta di una vendetta maliosa? Lui sospira ancora e non dice. Salvo che c'è un particolare del tutto contraddittorio. I due uomini che hanno sequestrato e ammanettato e violato con il vetro la sua convivente le hanno infilato in bocca quella pagina. La pagina è strappata dal libro di Giannino Guiso sul caso Moro. Lui si è occupato a lungo del caso Moro: su Famiglia Cristiana pubblicò alcune lettere di Moro al nipotino Luca, recuperate dai carabinieri di Dalla Chiesa nel covo milanese di via Montenevoso. Carte che contenevano la parte mancante del memoriale Moro, quella dedicala a (ìladio, un segreto svelato che innescò una serie infinita di nuove vicende, prima tra tutte quella legata all'omicidio del giornalista Mino Pocorelli, il coinvolgimento di Andreotti, le picconate di Cossiga. Ma cosa c'entra il caso Moro con questa storia di violenza? Con le sue modalità? «Chiaro che il terrorismo non c'entra», dice Sasinini. Ma allora perché quella pagina? «Non lo so». S'è mai visto im malioso che si occupa di Brigate rosse? «No». Giusto, niente del genere. Perciò siamo daccapo. Perchè Sasiniiù ha ancora il terrorismo mediorientale da infilare in questa nebbia. Racconta: «L'ultima volta che ho ricevuto una minaccia, erano tre pallottole calibro 357 infilate in una busta. La firma era quella di un gruppo islamico sciita». Negli anni si è occupato a lungo di terrorismo intemazionale. Ha seguito (per esempio) la guerra in Libano, ne ha pure scritto un libro «Alle radici dei cedri», pubblicato dalla edizioni Paolino. Tanti indizi (specialmente in un caso come questo) non l'anno all'atto tuia prova. Troppi labirinti. Troppi angoli in cui le cose cambiano direzione. Sasinini si limita a dire: «Questo è l'inzio di una nuova fase». Cioè? «Violenza, misteri, finalità politiche no decrittabili», Che è come din; lutto e dia' niente. A destra: la casa dove è avvenuta l'aggressione della moglie del giornalista. Accanto: una delle operazioni contro i terroristici islamici a Milano «Sono stato tra i promotori della raccolta di firme per chiedere il sequestro dei beni ai boss» In bocca alla donna è stata infilata una pagina di un libro sul sequestro di Aldo Moro ,rv DAL TERRORISMO ISLAMICO ALLA LOTTA Al CLAN, UN GIQRm^Tft .SCAPPO ,

Luoghi citati: Corleone, Libano, Milano