SONO I CICLISTI I VERI FACHIRI di Gian Paolo Ormezzano

SONO I CICLISTI I VERI FACHIRI SONO I CICLISTI I VERI FACHIRI Gian Paolo Ormezzano SASSUOLO NEL primo gran calore assoluto del Giro d'Italia, senza venti di monte, senza brezze di mare, con l'undicesimo tutti in gruppo su tredici giorni, ecco le solite storie di fatica bruta, di sacrificio fachirista, ecco che il ciclismo canonicamente si appropria di una sorta di esclusiva della sofferenza sportiva spinta. Sono anche i giorni del tennis al Roland Garros, quattro ore per Sampras e siamo appena all'inizio: fachiri anche quelli, sia pure contornati dal jet-set e non dal mondo contadinoso della bicicletta? Attenzione: una ricerca su dieci anni di Wimbledon ha detto che di gioco vero - correre, colpire - in ogni ora ci sono appena tredici minuti, e dunque Sampras ha poi fatto un tre quarti d'ora di «corsa» impegnata (e a proposito: due commendatori al circolo fanno sì un'oretta di sano tennis, ma senza raccattapalle giocano davvero per un cinque-sei minuti in tutto). Dunque questa delega di sofferenza sportiva che il ciclismo ha ricevuto, o si è presa, per conto di tutta l'umanità degli atleti, ha una sua effettiva validità. I quaranta e passa all'ora per quattro ore nella tappa di ieri, con disperata volata ai sessanta nel finale, sono una infinita partita di Wimbledon, con guizzi per disperate volée. Passando anche a Maranello, nel segno esaltante e intanto irridente del contrasto fra i due motori, l'umano e il meccanico, il primo capace comunque di medie da vespino truccato.

Persone citate: Sampras

Luoghi citati: Italia, Maranello, Sassuolo