La diplomazia o le manette? di Aldo Rizzo

La diplomazia o le manette? La diplomazia o le manette? Si aggrava il problema: trovare un interlocutore analisi Aldo Rizzo SLOBODAN Milosevic può contribuire a risolvere i problemi della ex Jugoslavia? Oppure è proprio lui un problema, anzi «il» problema? Da molto tempo questo interrogativo, questo dilemma, percorre l'Occidente. Non nel senso che ci siano significative correnti favorevoli al presidente jugoslavo, accanto a quelle più ovviamente contrarie, ma nel senso del «che fare» politico. In altre parole, per riportare la pace nei Balcani, è opportuno o inevitabile trattare con l'uomo forte di Belgrado? Oppure nessuna pace è possibile finché Milosevic resta al potere, e dunque, per assicurare una stabilità alla regione, bisogna sbarazzarsi di lui e del suo regime? Questa seconda domanda è prevalente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, e se proprio non arriva a essere esplicita in bocca a Clinton e a Blair, è formulata dai loro collaboratori senza troppe cautele. Altrove, in Europa, si tende a essere più realisti, cioè a stare ai fatti. E i fatti dicono che, nonostante tutto, nonostante gli indubbi aspetti repressivi e illiberali del suo regime, Milosevic resta l'interlocutore politico, perché è formalmente in sella, senza un'opposizione intema capace dì costituire per lui una seria minaccia. Per esempio, questa è la posizione del ministro degli Esteri Lamberto Dini. Al che i sostenitori della tesi, diciamo, angloamericana obiettano che non c'è un vero realismo nel cercare accordi con uno che poi li elude o li rinnega, con ciò stesso creando le premesse di nuovi e più gravi conflitti. Ed ecco che, nel mezzo di questa disputa, che non è filosofica, tra scuole di pensiero, ma incide direttamente sulla strategia della guerra attualmente in corso, arriva la notizia che il Tribunale internazionale dell'Aia per i crimini di guerra sta per incriminare ufficialmente Slobodan Milosevic. S'immagina, non come esecutore, ma come ispiratore delle più orrende azioni che si siano viste in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale: le deportazioni e le stragi etniche, prima in Bosnia e ora in Kosovo. Milosevic è uno che non concede quasi mai interviste. Ne diede una cinque mesi fa a Lady Weymouth di «Newsweek». Alla domanda su come reagisse a una dichiarazione del Dipartimento di Stato che lo definiva, appunto, «il problema» dei Balcani, rispose: «Il mio compito è di proteggere gli interessi del mio popolo e del mio Paese... Devo dire che sono orgoglioso del mio ruolo». A un'altra domanda, se sentisse rimorsi o altro per gli omicidi di massa compiuti dai serbi in Bosnia, replicò impassibile: «Nella guerra di Bosnia, tutti uccidevano tutti. Nessuno era innocente». (Il che è vero, ma altra questione era chi avesse cominciato a uccidere, e chi avesse ucciso di più e con più me- todo). buìne non spese una parola contro Radovan Karadzic e Ratko Mladic, considerati gli esecutori in capo delle stragi etniche in Bosnia, e per questo ricercati dal Tribunale dell'Aia; e circa il Tribunale stesso disse: «Non credo che esso serva a qualcosa. Se questo tipo di tribunale fosse utile, dovrebbe perseguire tutti i crimini di guerra nel mondo e non solo quelli dei serbi». Anche in questo c'era una parte di verità, ma restava il fatto, resta il fatto, che il Tribunale penale dell'Aia è stato istituito dall'Onu per i crimini nella ex Jugoslavia. Poi ce n'è un altro per l'Africa, e infine ne è stato creato uno senza limiti geografici, con fini non solo di repressione ma di prevenzione, che deve ancora entrare concretamente in azione. Dunque c'è una tendenza ormai a non lasciare impuniti i criminali di guerra in nessun luogo, e comunque il tribunale dell'Aia in questione era ed è quello abilitato a perseguire reati specifici, in quel mattatoio specifico che è stata la Bosnia ed è ora il Kosovo. D problema semmai è un altro, anzi sono due. Il primo è se un capo di Stato possa essere incriminato penalmente per avere ispirato una politica sanguinosa realizzata inevitabilmente da altri. La coscienza del mondo democratico e liberale dice di sì, anche se restano aperte le domande sull'attuazione pratica delle eventuali condanne. Siamo agli inizi di un lungo percorso. Il secondo problema è quale im¬ patto potrà avere, sul piano strettamente politico, cioè sulla condotta della guerra, l'incriminazione di Milosevic. Sarà ancora possibile trattare con lui? Sarà inevitabile uno scontro «all'ultimo sangue»? E reggerà l'unità della Nato? Siamo davvero a un punto cruciale della storia di questa fine di secolo, non solo in Europa. Ritornano i vecchi dubbi sul diritto sovranazionale per Ì Crimini COntrO l'Umanità " P^'derrte federate jugoslavo Slobodan Milosevic JMN NUOyQ^OSTA&plO PER LA TRATTATIVA