Herling, Sinatti, l'Einaudi e la prefazione a Salamov

Herling, Sinatti, l'Einaudi e la prefazione a Salamov LETTERE AL GIORNALE Herling, Sinatti, l'Einaudi e la prefazione a Salamov La maledizione della Kolyma Rispondendo a Vittorio Bo, ignoro volutamente il suo trattatello sul «gioco delle collane». La cosa non mi riguarda per due ragioni. Invitato a contribuire con Piero Sinatti a una prefazione ai Racconti di Kolyma di Salamov, non sono stato ini minato dall'Editore Einaudi su quale «collana» dovesse ospitare il grande libro dello scrittore russo; e quale esattamente è la «filosofia» di codesta «collana». Per cui ho condotto la conversazione con Sinatti richiamandomi alla mia idea di prefazione dialogata, come quella alla quale avevo prima contribuito, insieme a Bruno Falcetto, per le Opere complete di Silone pubblicate da Mondadori. Il dottor Bo farebbe bene a lasciar stare i pretesti assai miseri di «collane». E di passare al sodo, cioè a un «lavoro editoriale schiettamente inteso» - le parole sono sue -, cioè al problema dello stesso Salamov. Decisi a pubblicare l'intero Salamov (secondo me senza averlo letto a fondo), i direttori della Einaudi furono spiacevolmente sorpresi di trovare nel mio dialogo con Sinatti «troppa politica» e «troppo poca analisi puramente letteraria». Ma come? Siamo stati informati che, contrariamente al maniaco antisovietico Solzhenicyn, Salamov fu prima di tutto un artista che anteponeva l'arte alla rozza polemica politica. E invece Herling e Sinatti parlano .principalmente di politica e storia, sono più giornalisti che raffinati analisti estetici. Immagino che più o meno così scrisse o disse Natalia Ginzburg a Primo Levi, rifiutando il suo primo libro: «Descrivendo Auschwitz, parli quasi sempre di nazismo e forni crematori, e quasi mai di ciò che il vero scrittore avrebbe visto ad Auschwitz come materia prima della narrativa»/ Quando mi è arrivato - tramite la dottoressa Anna Raffetto, responsabile del settore russo della Einaudi - l'invito a scrivere una prefazione con Sinatti, fui sia sor¬ preso sia incredulo. Conoscevo l'orientamento politico della Einaudi e del suo presidente, il «principe degli editori», ero sicuro che i dirigenti della casa editrice torinese sapevano qualcosa delle mie idee se non dai miei libri, almeno dai miei numerosi articoli pubblicati nei giornali italiani. E' possibile che abbiano invitato proprio me? Non è un malinteso? Ho pregato la dottoressa Raffetto di verificare la cosa. Dopo una conversazione proprio con il dottor Bo, la Raffetto mi telefonò: «E' assolutamente libero di scrivere quel che vuole. Rassicurato, accettai allora l'invito. Suppongo che il brano di Vittorio Bo sulla «bomba di Salamov» e il nostro - mio e di Sinatti - commento doveva essere una freccia avvelenata diretta contro di me. Non è arrivata a bersaglio, gentile dottore. Ripeto ancora una volta: i racconti di Salamov - di tempo in tempo interpolati, nella stupenda narrativa «pietrificata» - l'autodefinizione e di Salamov -, di maledizioni contro il regime sovietico • saranno per i lettori italiani molto più una bomba «politica» del nostro pacato, misurato e modesto commento. Ma possono rendersene conto i direttori della Einaudi, che secondo me non li hanno letti? E' del tutto comprensibile la reazione della Einaudi di fronte alla mia risposta al dottor Bersani, di fronte al fatto che il nostro dialogo, con una premessa informativa, uscirà tra breve in volumetto, e infine di fronte agli articoli di Paolo Mieli su La Stampa e di Dario Fertilio sul Corriere della Sera. Pur essendo del tutto comprensibile, ogni autodifesa deve guardarsi da un pericolo: di non scivolare nel ridicolo. Il dottor Bo non ha, purtroppo, evitato questo pericolo. A proposito della «bomba» di Salamov, e del nostro dialogo assai blando respinto dalla Einaudi, mi viene in mente un proverbio russo per definire la persona che si fa intrappolare nei particolari insignificanti e fasulli, perdendo d'occhio quel che conta davvero: «Ma non ha notato l'elefante». Il proverbio russo si applica alla perfezione al dottor Bo, che nel suo articolo rappresenta l'intera casa editrice Einaudi. Il celebre struzzo einaudiano ha affondato la sua bella testolina nella sabbia del deserto. Gustav Herling Il giornalismo non ò un genera inferiore Alcune precisazioni sulla prefazione-intervista di Gustav Herling e mia al volume Kolyma di Varlam Salamov di imminente uscita presso Einaudi. D dott. Bo, amministratore delegato della casa editrice, ha scritto che essa è stata soppressa perché «troppo giornalistica» (La Stampa, 25 maggio). Ora, l'intervista è un genere giornalistico. Dovevano saperlo coloro che l'hanno proposta per presentare ai lettori quel libro, cioè i dirigenti dell'Einaudi. Come intervistatore fui indicato da Gustav Herling e accettato dall'Einaudi. Da oltre vanf anni scrivo sui temi dell'Urss-Russia e del mondo comunista. Ho proposto, curato e prefato la prima raccolta di una parte di Racconti della Kolyma in Italia. Uscì da Savelli nel 1976. Un anno prima, una mia proposta di pubblicare i racconti scialamoviani reperibili in russo era stata respinta dall'Einaudi. Ho continuato ad occuparmi di Shalamov negli Anni Ottanta e Novanta («Stampa Sera», «Sole 24 Ore», edizioni Tneoria). Evidentemente Bo considera il giornalismo un genere inferiore. Opinione sua. Inutile ricordare che c'è un eccellente giornalismo e c'è una pessima letteratura critico-accademica. L'intervista, inoltre, di quaranta cartelle, era corredata di quaranta note bio-bibliografiche: un'ampia ricognizione della letteratura esistente sul Gulag e su Shalamov. E' temerario sostenere, come fa Bo, che la prefazione-intervista è stata soppressa perché «troppo giornalistica». La verità è che a me - e tramite me a Herling - erano stati chiesti da un funzionario dell'Einaudi tagli consistentissimi della parte iniziale: vi si parlava della comparabilità di Gulag e Lager nazisti, si citava (ohibò) il Libro nero del comunismo e si criticavano giudizi di Primo Levi su Shalamov e sui reduci del Gulag, di Italo Calvino sul pastemakiano Dottor Zhivago e di Norberto Bobbio sul rapporto comunismo-Gulag. Herling ed io rifiutammo concordemente i tagli. Fu anche prospettata dagli editori l'ipotesi di spostare la prefazione in appendice al volume. Tuttavia, il giorno stesso in cui Cerati veniva nominato presidente della Einaudi, mi fu comunicato telefonicamente che l'intervista era stata cancellata. Questi, e non altri, i fatti. In primo piano, certamente, resta la pubblicazione di questo grande, inestimabile libro sulla Kolyma, dovuta soprattutto all'intelligenza, alla cultura, al gusto e alla tenacia dell'editor, Anna Raffetto. Piero Sinatti Livorno «Il rimpasto può aspettare» Si è appena concluso il «toto-Quirinale» che già riparte il «toto-rimpasto»? La minuziosa raccolta di «voci», «indiscrezioni» e addirittura «elucubrazioni» di Augusto Minzolini («Rimpasto di Governo un valzer di poltrone») non ha riscontro alcuno alla Presidenza del Consiglio. L'agenda del Presidente D'Alema in questa fase è assorbita da tempi politico-istituzionali e da questioni di Governo ben più impellenti e importanti agli stessi fini della coesione della maggioranza e del rilancio del profilo riformatore delia legislatura. Pasquale Cascelia Portavoce del presidente del Consiglio Ne riparleremo dopo il 13 giugno, [au. min.] Cesare Salvi e il valzer di poltrone Un articolo a firma Augusto Minzolini («Rimpasto di governo, un valzer di poltrone»), si conclude con la seguente frase: «Molte di queste elucubrazioni sono frutto della mente di qualche aspirante new-entry, come il capogruppo diessino Cesare Salvi». Da questa affermazione si evincerebbe che la fonte diretta o indiretta di quanto scrive Minzolini sia il sot toscritto. Al contrario, non ho mai parlato con Minzolini di rimpasto di governo. E, per la verità, nemmeno di altro. Cesare Salvi

Luoghi citati: Auschwitz, Italia, Livorno, Mondadori, Russia, Savelli, Urss