UNA MONTAGNA DI DOLLARI di Enrico Camanni

UNA MONTAGNA DI DOLLARI Il monte Everest (8848 metri), nella catena dell'Himalaya. E' la montagna più alta del mondo UNA MONTAGNA DI DOLLARI Ormai il mito si vende al supermercato delle cime Enrico Camanni I L nome tibetano dell'Everest è Chomolungma, che significa «Dea madre della Terra». In nepalese invece si dice Sagarmatha, cioè «Alto nel cielo». L'Everest non è una cima esteticamente irresistibile come l'Ama Dablam o il K2, ma è una montagna possente, smisurata, disumana, che a Sud si alza sopra un crocevia di seracchi e a Nord svetta sulla pianura come un veliero ad ali spiegate. Gli inglesi ne fecero una questione nazionale fin dal 1852, quando gli ufficiali del Servizio trigonometrico indiano scoprirono che l'anonimo Peak 15 era la montagna più alta del mondo. A partire dal progetto Bruce del 1905, poi accantonato in tempo di guerra, gli alpinisti della regina hanno dedicato mezzo secolo di spedizioni all'esplorazione dell'Everest, approfittando dei loro possedimenti coloniali e dei rapporti privilegiati tra il governo britannico e il Dalailama. Nel 1921 Howard-Bury assaggiava le prime difficoltà sul versante tibetano e tre anni dopo Irvine e Mallory già sfioravano la vetta e scomparivano nel mistero. Quel terribile 8 giugno 1924 George Leight Mallory divenne per sempre l'eroe dell' Everest, anche se era un antieroe per eccellenza, un giovane maestro un po' sbandato che sognava di fare lo scrittore e aveva abbracciato tra le lacrime i suoi tre bimbi prima di imbarcarsi per l'Asia. L'amico Lytton Strachey lo dipinse così a Virgmia Woolf: «Mon Dieu, George Mallory! Ha il corpo di un atleta di Pressitele, ed in viso - oh incredibile - il mistero di Botticelli, la raffinatezza e la delicatezza di una stampa cinese». (W. Unsworth, Everest, Milano 1991). Quel corpo innocente unitosi agli dei tra i ghiacci della cresta Nord alimentò il mito dell'Everest. Nacque la leggenda. Per altri trent'anni gli alpinisti continuarono ad affannarsi invano sui fianchi della montagna, e ogni fallimento sembrava innalzare la memoria di Mallory e allontanare il miraggio della vetta. Poi nel 1953 arriva il successo di Hillary e Tenzing, dal versante nepalese: «In un primo momento mi fu difficile convincermi che ce l'avevamo fatta... Tenzing era molto occupato: sulla neve della vetta aveva scavato una piccola buca e vi aveva deposto dei pezzetti di cibo come offerta agli dei buddisti. Accanto al suo cibo io posai un piccolo crocefisso». (E. Hillary, Oltre gli ottomila, Bari 1957). Questo rito ecumenico apre la via a un rapido processo di sconsacrazione. Dapprima le conquiste pesanti degli Anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, quando si affrontavano gli ottomila come eserciti in guerra; poi la rivoluzione leggera di Roinhold Messner e Peter Habeler, che nel 1978 salgono l'Everest senza usare l'ossigeno; infine la stupefacente impresa solitaria di Messner sulla parete Nord-Ovest, nel 1980, non lontano dalle tracce di Mallory. Oggi l'Everest è un mito che si vende anche al supermercato delle cime. Agenzie di guide ame ricane e neozelandesi offrono la vetta in cani bio di ragguardevoli onorari e altri rischi, come ha testimoniato John Krakauer nel libro-in chiesta Aria sottile (Milano 1998), la cronaca della tragedia del 10 maggio 1996 costata la vi ta a nove persone sopra u Colle Sud. Ma anche la «Mallory and Irvine Research Expedition», che ha ritrovato il corpo del povero George a 75 anni dalla scomparsa, è un'operazione commerciale supersponsorizzata. Ha trasformato in dollari il mistero dell'Everest. L'ultimo mistero. George Mallory. Tre settimane fa Il suo cadavere è stato trovato sull'Everest, a quota 8290: aveva raggiunto la vetta? Il giallo storico rimane aperto

Luoghi citati: Asia, Milano, Virgmia Woolf