Un allevatore di api in vetta all'EVEREST di Alberto Papuzzi

Un allevatore di api in vetta all'EVEREST Un allevatore di api in vetta all'EVEREST Intervista con sir Edmund Hillary, il primo a salire sul tetto del mondo: «Se si scoprirà che Mallory mi ha battuto, non piangerò» Alberto Papuzzi inviato a MILANO PROFONDATO nel divano di un hotel, il conqui- » X ni— % statore dell'Everest è l'im11 magine del riposo del JìZJ guerriero: un gigante di ottant'anni con rìcci capelli grigi, che allunga nel saluto una mano enorme: quando di anni ne aveva 34, mani così gli permisero di superare il muro di roccia e ghiaccio oggi chiamato Hillary Step, ultima difficoltà prima di saltare in groppa al tetto del mondo, alle ore 11.30 del 29 maggio 1953. Sulla strada del ritorno venne scattata una storica fotografia: anche allora Edmund Hillary, in seguito insignito del titolo di sir, appariva un gigante, al fianco dello sherpa Norgay Tenzing, piccolo e schivo, mentre l'altro mostrava un sorriso di soddisfazione e di snobismo, con occhiali da saldatore, piccozza di legno, eroe dell'ultima avventura ancora possibile nel vecchio mondo innocente. Si racconta che, incontrando l'amico George Lowe, che gli andava incontro con zuppa calda, gli disse: «Bene, George, l'abbiamo sistemato, il bastardo». Perché Hillary, nato a Auckland, in Nuova Zelanda, il 20 luglio del 1919, è uno spirito anglosassone, con una concezione sportiva, nella tradizione vittoriana delle montagna come terreno di gioco, metafora di Lesile Stephen, il padre di Virgina Woolf. Come è nato l'Everest di Hillary? «E' il frutto di uno sviluppo graduale. Cominciai a 16 anni, sulle Alpi nezoelandesi e con il tempo la mia tecnica migliorò. A 31 anni, nel 1950, venni a scalare nelle Alpi europee. L'anno dopo feci la prima esperienza himalayana, realizzando nella stessa estate la prima ascensione di sei montagne oltre i seimila metri. Perciò quello stesso anno, nella stagione postmonsonica, venni invitato a far parte della spedizione ricognitiva inglese guidata da Eric Snipton, per esaminare gli accessi all'Everest dal Nepal. Fummo i primi a percorrere la via che porta all'Icefall, famosa scroccata, ma non eravamo abbastanza attrezzati per salire fino alla cima. Poi nel 1953, con la spedizione Hunt, avemmo l'opportunità di ottenere il permesso per la scalata. 50 we climbed it, così lo abbiamo scalato». Lei era allora uno scalatore a tempo pieno? «No. Io ero un allevatore di api. Dunque ero un amatore. Oggi le cose sono molto cambiate e scalare è diventata una vera attività professionale». Nel suo libro «High Adventure» lei racconta che arrivato in cima provò soprattutto una sensazione di sollievo. Ripensandoci oggi, che cosa significava la scalata dell'Everest? «Era la montagna più alta e non era mai stata scalata. Perciò rappresentava una grande sfida. Avevo letto tanti libri e mi era diventata molto familiare». Lei ha scritto: «Dovevamo stare al gioco o essere tagliati fuori». Quanti rischi merita l'Everest? «Una volta accettato come membro importante d'una spedizione, potevi essere invitato ancora numerose volte, per cui dovevi mostrarti preparato ad affrontare le difficoltà. Detto questo, mi piace pensare che ero in grado di esprimere un buon giudizio sui rischi che si potevano correre». Della storia dell'Everest fa Sarte il caso Mallory, tornato 'attualità dopo il ritrovamento, quest'anno, del suo corpo. Chi era per lei Mallory, scomparso con Irvine nel 1924, poco sotto gli 8846 metri della vetta? «Per me Mallory ha realmente creato la storia dell'Everest. E' stato uno straordinario pioniere: studiò ed esplorò tutte le vie di approccio alla montagna, scegliendo quella del Colle Nord, come la più adatta all'attacco. Ma quando lui morì io avevo solo cinque anni». In una conferenza stampa a Katmandu, gli alpinisti che hanno ritrovato Mallory hanno dichiarato che probabilmente non aveva raggiunto la vetta. Qual è la sua idea? «Solo se si trovasse la macchina fotografica, con la pellicola ancora in buono stato, e solo se i fotogrammi mostrassero la vetta, potremmo dire che Mallory era arrivato in cima. Altrimenti sono supposizioni». Che sentimento ha provato, quando ha letto la notizia del ritrovamento? «Mi è dispiaciuto per Mallory: le fotografie sui giornali erano disgustose. Per me era un personaggio eroico e vederlo così disteso nella neve, la schiena nuda, il braccio alzato, è stato sgradevole». Supponiamo che trovino la macchina fotografica, supponiamo che un'inquadratura mostri la cima, quanto le dispiacerebbe? «Per 45 anni, fra poco 46, io sono stato l'eroe dell'Everest (sorride). Così non me ne dispiacerei per niente. Tutti gli alpinisti pensano che si debba raggiungere la cima, ma se il tuo corpo rimane a metà della montagna, il successo è incompleto. Comunque io penso che Mallory fosse molto coraggioso». Quali sono state le differenze fra la vostra improsa, quella di Bonington nel 1973 e la solitaria di Messner nel 1980? «Penso che ciascuna di queste sfide sia stata a suo modo molto im¬ portante. Bonington passò lungo una via più difficile della nostra, ma avevano una migliore attrezzatura. Messner salì senza ossigeno, però si avvaleva anche lui d lina spedizione di appoggio». Ha letto il best-seller «Aria sottile» di John Krakauer? Che cosa pensa delle spedizioni commerciali? «Sì, ho letto Aria sottile. L'ho trovato interessante, dice molte cose vere. Non amo le spedizioni commerciali. Nelle spedizioni tradizionali gli scalatori dovevano avere spiccate attitudini e dovevano combattere con le condizioni avverse. La soddisfazione era la capacità di superara tutte le difficoltà. Alle spedizioni commerciali partecipa gente con poca abilità, che è in grado di spendere un sacco di soldi, per essere condotta in cima». Moltissimi alpinisti, con alterna fortuna, hanno sfidato l'Everest. Ma questa montagna, per il grande pubblico, è legata solo al suo nome: è giusto? «E sempre utile essere il primo». Edmund Hillary sarà oggi a Torino, dove alle 18,30 terrà una conferenza al Museo nazionale della montagna, presentato da Walter Boriarti. bt Pi Sir Edmund Hlllary è nato il 20 luglio 1919 a Auckland, hi Nuova Zelanda. Con lo sherpa Tenzing Norgay (insieme a lui nella foto) il 29 maggio 1953 ha raggiunto la vetta dell'Everest. Sotto il titolo, Hillary, oggi Altissimo, mani enormi, capelli ricci e grigi: «Sono stato un eroe per 45 anni, e questo mi basta» Scendendo, si racconta che disse a un amico: «Bene, George, l'abbiamo sistemato, il bastardo»

Luoghi citati: Katmandu, Milano, Nepal, Nuova Zelanda, Torino