«Un corpo a corpo durato vent'anni»

«Un corpo a corpo durato vent'anni» «Un corpo a corpo durato vent'anni» Pinin Brambilla: così ho salvato l'affresco impossibile Claudio Altarocca MILANO w|L 28 maggio sarà di nuovo I visibile il Cenacolo di LeoI nardo, ma non sarà più I quello ammirato negli ulti*l mi decenni nonostante s'andasse deteriorando sempre più e rischiasse di diventare un unico crostone scuro: dopo vent'anni di restauro è un'altra cosa, è come dissepolto, riemerso a nuova luce e a nuova vita. Un restauro lunghissimo., laboriosissimo, firmato da una donna che dicono fredda e dura, Giuseppina Brambilla Barcilon, che però adesso, nel refettorio della bramantesca Santa Maria delle Grazie, guarda il Cenacolo quasi con tenerezza e con distacco e orgoglio insieme. «Una fatica enorme, fisica e intellettuale - racconta -. All'inizio ero sgomenta, impaurita, non riuscivo ad afferrare un bandolo: l'opera mi appariva indecifrabile, un gigantesco puzzle». Pinin Brambilla (la chiamano così, Pinin) passa anni a studiare la storia del dipinto, a confrontare le copie, i disegni, i documenti in giro per il mondo, e a prelevare piccolissimi campioni e a studiarne la composizione al microscopio elettronico. Sono campioni stupefacenti: la foto ingrandita di un mulimetro del Cenacolo sembra un quadro informale, solcato da fui esigui e labirintici e ricoperto da placche multicolori a loro volta screziate e incerte. Questo di Leonardo è forse il capolavoro più tormentato nell'intera storia della pittura. Leonardo lo finì nel 1497. Aveva 45 anni. Ma già vent'anni dopo comincia a guastarsi, e il Vasari, nel 1556, lo vede come una «macchia abbagliata». In cinque secoli il Cenacolo ha avuto almeno sette restauri, più innumerevoli aggiustamenti e supporti. Tanto che alla fine «Leonardo non c'era più». Era finito sotto una coltre di colori ad olio, a tempera, ad acquerello, e sotto stucchi, colle, cemento, cera e polvere. Un disastro. Il fatto è che Leonardo non volle eseguire un affresco, tecnica troppo veloce per lui. Leonardo aveva tempi molto più lunghi. Il novellie- «Pinin» Brambilla dello racconta che a volte dipingeva come un forsennato per un giorno intero senza mangiare nulla, senza mai scendere dalle impalcature, e poi per due, tre, quattro giorni di seguito se ne stava lontano da tutt'altra parte salvo precipitarsi all'improvviso sul cantiere magari per dare pochissimi colpi di pennello. Per questo escogitò una tecnica sua: dipinse il muro come fosse una tavola, con due strati di preparazione sull'intonaco. Sono questi materiali di base ad aver creato infinite complicazioni. Perché il muro era terribilmente umido, lì sotto passava la falda del Ticino, e per di più era esposto a Nord. E poi l'incuria degli uomini: sembra che gli stessi frati ricavarono una porta proprio ai piedi del dipinto, e Napoleone, del refettorio, fece un fienile. Ultima disgrazia, le bombe del '43, che per fortuna non fecero crollare il muro del Cenacolo. Pinin Brambilla trova però il filo, riconosce il vero Leonardo sepolto, comincia il restauro vero e proprio, che gode di uno sponsor appassionato, la Olivetti (un sostegno da sette miliardi). Sceglie i solventi, applica impacchi di carta giapponese sottilissima per sciogliere le colle e ripulire, interviene col bisturi. Millimetro per millimetro, per tutti gli 8,80 metri per 4,60 del dipinto. «Un lavoro pazzesco». A volte ha un'ansia cupa, le sembra di «correre e correre e non arrivare mai». Ma il traguardo arriva. Adesso può anche ripensare ai momenti più belli, che pure ci sono stati, come la «gioia» di quando ritrovava gli azzurri di Leonardo, ^eguagliabili per delicatezza e vivacità, mentre «purtroppo i verdi si sono spesso persi»Pinin Brambilla illustra i risultati del restauro proprio accanto al Cenacolo, sul montacarichi, dove le sue collaboratrici effettuano gl ultimi ritocchi. «Le figure degli Apostoli hanno riacquistato volume, le loro teste e le loro mani sono diverse, e il rapporto spaziale è nuovo, la scena è diventata più viva, più drammatica, con gli Apostoli che reagiscono all'improvvisa rivelazione di Gesù sul tradimento di Giuda». Un Giuda che hu un sobbalzo, tiene stretta la borsa del denaro e rovescia la saliera, mentre Pietro gli s'appoggia sulle spalle e 10 tocca con il coltello impugnato nella destra. Simone per esempio era di profilo, mentre ora è di tre quarti, e Matteo aveva la barba, ora non più, e Filippo, che prima «sembrava un fantoccio», e «straziato». E nuovo è il vetro dei bicchieri sulla tavola appena stirata, come nuovo è il peltro che riflette gli abiti, e nel paesaggio indefinito e misterioso sullo sfondo c'era dell'acqua, «forse un lago». E negli arazzi ai lati della scena, ora spenti, reggibili, c'erano fiori gialli, blu, rosa, in tonalità altissime, un trionfo della natura. Anche le lunette erano di «altissima cromia», e 11 soffitto era un cielo azzurro punteggiato dall'oro delle stelle. Pinin Brambilla ha trovato alcuni frammenti rivelatori. Cosi inserita, l'Ultima Cena, in cui un Gesù assorto e appartato al centro in uno spazio perfetto, triangolare, indica il pane e il vino dell'Eucarestia, è vista da Leonardo come un evento salvifico che coinvolge tutto il cosmo. «I colori che vediamo - conclude la restauratrice - sono quelli di Leonardo, inevitabilmente logorati dal tempo e mancanti in alcune parti. Io sono entrata con umiltà nel testo del dipinto, ho cercato di capirlo e di restituirlo, perché un restauro non è soltanto un fatto tecnico ma anche intellettuale, di ricostruzione storica ed estetica. Chi guarda il dipinto deve poi fare anche lui un lavoro: integrare con l'intuizione quel che s'è irrimediabilmente perduto, come quei colorì altissimi dei fiori e del cielo, con i quali i colorì della scena che vediamo dovevano essere in armonia. La poesia originaria ora è possibile ritrovarla». E qui, finalmente, Pinin Brambilla sorride. «Pinin» Brambilla

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