FIEDLER

FIEDLER FIEDLER «Dodicipassi sul tetto» : Possessione dell'ebraismo DODICI PASSI SUL TETTO Leslie Fiedler Donzelli pp. 156 L 30.000 ESLIE Fiedler è uno scrittore geniale e bizzarro, conosciuto in Italia soprattutto per la sua opera principale. Amore e morte nel romanzo americano. Come ebreo americano, ha molti complessi, tra cui quello di non essere (o non voler essere?) abbastanza ebreo: «So di essere americano e dubito di essere ebreo». Parallelo a questo status, o meglio conseguente, è la sua frequente ricerca di ebraicità in autori o fógure non ebraiche e di americanità in autori ebrei. Complessi e genialità emergono a ogni pagina di questo libro, Dodici passi sul tetto costruito malissimo, con saggi prevalentemente letterari (Joyce e i suoi personaggi spuntano da tutte le parti) e numerose ripetizioni da un saggio all'altro; ma in cui l'angolatura ebraica, direi l'ansia ebraica del suo sguardo fa scoprire nuove letture, anche se spesso suggerite in modi piuttosto tortuosi. «Come molti di voi sanno sono un garrulo, che ignora la reticenza, e con gli anni sono diventato sem¬ pre di più un personaggio pubblico pronto a parlare di tutto ciò che mi riguarda più da vicino a qualsiasi uditorio disposto a darmi ascolto». Questa autopresentazione spiega molte cose, alcune alla fine accettabili, come lo straripamento del suo io, altre sconcertanti, come la sua fantasiosa esegesi della predella urbinate di Paolo Uccello nota come La profanazione dell'ostia. Nel capitolo La radice dell'antisemitismo qualclie riflessione dall'Italia, Fiedler descrive la predella e ne ricava riflessioni che sarebbero plausibili se la predella fosse così. Ma così non è. Fiedler dice che il «primo pannello rappresenta un ebreo grossolanamente caricaturizzato mentre pugnala un'ostia consacrata che sprizza sangue sotto il suo coltello». Ora, trascurando il fatto che si tratta del secondo pannello e che l'ebreo non è affatto caricaturizzato, l'ostia non è pugnalata perché il coltello non c'è, ma viene messa in padella sul fuoco (da cui le definizioni per questo tipo di presunto delitto di «ostia fritta» o «sacra padella»). Sul coltello che egli vede nella scena dipinta, Fiedler sviluppa una analisi storico-letteraria che, riprendendo il tema in altri saggi, fa risalire al coltello brandito da Abramo su Isacco (Genesi 22) una radice o un appiglio dell'antisemitismo cristiano. Fiedler è molto intrigato da questo coltello, che egli vede nella predella mentre, secondo lui, è assente nella storia del Vangelo: «Non lo brandisce Giuda, né d Sommo Sacerdote e nemmeno Barabba, quella oscura figura, doppio e antitesi di Gesù il cui nome significa «figlio di Dio». Ora, a parte U fatto che Barabba non significa «figlio di Dio», nel Vangelo Barabba è un puro nome senza figura, senza ma¬ il coltello non c'è, ma viene messa in padella sul fuoco (da cui le definizioni per questo tipo di presunto delitto di «ostia fritta» o «sacra padella»). Sul coltello che egli vede nella scena dipinta, Fiedler sviluppa una analisi storico-letteraria che, riprendendo il tema in altri saggi, fa risalire al coltello brandito da Abramo su Isacco (Genesi 22) una radice o un appiglio dell'antisemitismo cristiano. Fiedler è molto intrigato da questo coltello, che egli vede nella predella mentre, secondo lui, è assente nella storia del Vangelo: «Non lo brandisce Giuda, né d Sommo Sacerdote e nemmeno Barabba, quella oscura figura, doppio e antitesi di Gesù il cui nome significa «figlio di Dio». Ora, a parte U fatto che Barabba non significa «figlio di Dio», nel Vangelo Barabba è un puro nome senza figura, senza ma¬ ni e senza coltello. Dal coltello di Urbino a quello di Abramo, e di qui scendendo a un modello alternativo che con questo, sinistro, permane «nell'inconscio collettivo del mondo cristiano»: «E quel modello è, naturalmente San Giuseppe, il marito impotente della Beata Vergine, padre adottivo del figlio maschio non generato (almeno non da lui), santo patrono di tutti i cornuti». Ci siamo soffermati su uno dei tanti spunti che offre il libro: ma riferire di tutti questi vertiginosi percorsi è impossibile, anche perché alcune affermazioni sono stilisticamente incomprensibili (per es., «il padre unico del Figlio» sarà forse «il padre del Figlio unico»?, p. 43). A saggi su Joyce, Singer, Styron, Levin, Giobbe (verissima la sua affermazione di una «perenne lite con il Creatore» come «tradizione essenzialmente ebraica», quella del riv o contesa: ma non è vero, come si dice nello stesso saggio, che la legge del cosiddetto Codice di Noè non abbia bisogno di una speciale rivelazione) si alternano saggi su tematiche più generali, ma sempre con forti agganci letterari: su La «cristianità» dello scrittore ebreo americano, su Diventare postebraico, su Ad ogni generazione: una meditazione sin due Olocausti (l'americocentrismoha finora impedito agli scrittori Usa, ebrei e no, di sostituire il termine - assolutamente falso - di Olocausto con quello, ormai corrente in Europa, di Shoà, catastrofe). Su questo ultimo saggio, che chiude il volume e che Fiedler definisce una «meditazione subteologica», vorremmo dichiarare tutta la nostra partecipazione, per il suo sofferto, autobiografico presentimento di essere l'«Ultimo Ebreo», dopo che il Popolo Eletto ha deciso di «smettere di esistere in quanto popolo eletto per il bene di tutta l'umanità unita». Ecco un esempio di quella che Guido Fink, nella sua breve ma acuta Introduzione chiama «tendenza ebraica per eccellenza a rivedere e a ridiscutere le tradizioni proprie e le tradizioni altrui. Sempre, s'intende all'insegna del contagio e della mescolanza». Che poi questa molteplicità («molte pieghe») del suo pensare non eviti sempre semplificazioni, soprattutto per quanto riguarda il cristianesimo, non toghe la nostra granitine per il suo pensare complicato (altre pieghe!), pazienza se è garrulo. E perciò ci sia consentito di citare per esteso il finale dei saggio e del libro: «Ma da Ultimo Ebreo quale sono, non posso resistere al bisogno di confessare che ogni autunno, anche se ovviamente non vado in nessuna shul, osservo il digiuno di Yom Kippur. E così pure ogni inverno, accendo le candele di Chanukkah, il più delle volte vicino a quelle dell'albero di Natale già addobbato. E ogni primavera, dopo aver colorato le uova di Pasqua, riunisco la famiglia per il seder di Pasqua e grido al Dio nel quale non credo di credere, "Rovescia la tua ira sui goyim...". I miei figli non mi chiedono la ragione, forse perché sono sicuri di saperla. Ma se me lo chiedessero direi loro, come mio nonno diceva a me, trascinandomi in qualche sinagoga nei giorni delle feste ebraiche più importanti, "Non perché ci credo, ma perché tu possa ricordare". Io ricordo». Paolo De Benedetti Saggi in prevalenza letterari di un «garrulo che ignora la reticenza», conjoyceeisuoi personaggi che spuntano da tutte le parti Costumi ebrei durante il regno di Israele: una litografia del 1890 di Hottenroth Il saggio di Fiedler «Dodici passi sul tetto» è pubblicato da Donzelli

Luoghi citati: Europa, Israele, Italia, Ultimo, Urbino