IL TARLO DI CECCHI RESPIRAVA VIAGGIANDO CON LORD JIM di Bruno Quaranta

IL TARLO DI CECCHI RESPIRAVA VIAGGIANDO CON LORD JIM IL TARLO DI CECCHI RESPIRAVA VIAGGIANDO CON LORD JIM I TT" T N me8U®re'stm' v11 mestieraccio, TARLI scrivere per i giornali. Lo sapeva Emilio bene Emilio Cecchi, critico lettera- Cocchi rio fra i nostri maggiori, estraneo Fazi alle accidie accademiche, così dipo- pp. 148 sto a scendere e a ri-discendere in L 28.000 quell'agone-arena-cortile privo di Wft J rete che è la carta stampata. Perché ^»|^—^i.»*' quando si fimauoia rubrica intitolata «Libri nuovi e usati», il rischio è l'assalto alla diligenza. Tutti (leggasi: tutti) gli autori di pagine appena inchiostrate o spiegazzate, ma non ancora arrese, bussano, esigono un cenno, un grammo d'incenso. E l'ttestensore», di settimana in settimana, «vede» avanzare la sinistra sorte: «morire come una mosca nel caffelatte». Sulla scia del Meridiano Mondadori che l'anno scorso accolse, di Cecchi, Saggi e viaggi, l'editore Fazi presenta J tarli (a cura di Silvia Betocchi, introduzione di Enzo Siciliano). E' una scelta di articoli apparsi su «La Tribuna» di Olindo Malagodi, dal 1921 al 1923. Un'antologia che documenta le qualità giornalistiche del «maggiore» fiorentino. Come modello lo stile d'oltremanica (che cosa ha significato l'Inghilterra nella sua formazione), lo Svectator di Addison e il Rambler di Johnson: «Una cultura classica, squisita ma non mortificante; una autentica e non pedantesca serietà morale; un senso di dignità sociale che corregge l'italiana ironia troppo feroce; l'impeto d'una gran vita letteraria dove gli ingegni si scaldano e raggiungono tutte le proprie possibilità; l'agile e bizzarra disposizione a cogliere nel meschino frammento di vita una verità inaspettata e profonda». Nomi alti e nomi obliati si avvicendano nell'officina del «tarlo» (così Cecchi si firmava), rabdomante di assoluto gusto, «abituato alla fibra secca e crocchiarne degli aldini». Via via soppesa D'Annunzio e Boine e Ada Negri, Proust e Joyce, Arnaldo Fraccaroli e Attilio Frescura, Colette e Pea e ulteriori grandi e minori. Interpretando (plasmando) la critica «da artista» che gli attribuì Sapegno. Come caratteri, «lo sforzo per impossessarsi delle qualità intime dei suoi autori, dei loro segreti tecnici e del loro tono, l'attitudine mimetica a sciogliere l'impressione, meglio che in una formula, in un'immagine pregnante». Eccola l'immagine (una fra le tante), ispirata da Govoni, un «precursore» che spalancò la strada a Gozzano, Palazzeschi, Papini, non vedendosi riconosciuti i meriti pioneristici : «E il povero Govoni restava fuor dell'uscio a tremare; come uno di quei mendicanti colf ombrello d'incerato verde ch'egli dipinge nelle sue poesie e nelle sue prose con l'evidenza e la penetrazione di un'esperienza fraterna. C'è del santo, del fakiro, del martire, del Cìirìstus patìens, in questo poeta; e insieme, del pulcinella». Inesorabile, Cecchi, nel riconoscere i vertici: da Proust («Ha genialmente rinnovato il senso del tempo e della durée», ancorché in una fase anteriore lo avesse soprattutto segnalato come «un finissimo descrittor di costumi») a Joyce, che per per impossessarsi delle qualità intime dei suoi autori, dei loro segreti tecnici e del loro tono, l'attitudine mimetica a sciogliere l'impressione, meglio che in una formula, in un'immagine pregnante». Eccola l'immagine (una fra le tante), ispirata da Govoni, un «precursore» che spalancò la strada a Gozzano, Palazzeschi, Papini, non vedendosi riconosciuti i meriti pioneristici : «E il povero Govoni restava fuor dell'uscio a tremare; come uno di quei mendicanti colf ombrello d'incerato verde ch'egli dipinge nelle sue poesie e nelle sue prose con l'evidenza e la penetrazione di un'esperienza fraterna. C'è del santo, del fakiro, del martire, del Cìirìstus patìens, in questo poeta; e insieme, del pulcinella». Inesorabile, Cecchi, nel riconoscere i vertici: da Proust («Ha genialmente rinnovato il senso del tempo e della durée», ancorché in una fase anteriore lo avesse soprattutto segnalato come «un finissimo descrittor di costumi») a Joyce, che per primo intuì (Ulysses è del '22, il tarlo che seziona l'autore irlandese è del '23): «Di rado, anche in Tertulliano e nei Padri più ossessionati dall'idea della colpa, fu fatto un processo così acre agli istinti e moventi umani!>). La fatica della milizia critica. Cecchi si ristora tornando alle pagine (critiche) di Boine («Non un giudizio che, sostanzialmente, non sia rimasto vero»), di Pancrazi, di Croce («Dato pure che nel veder e dire giusto, quando gli altri veggono sbagliato, egli metta a volte una acrèdine polemica, che ha per effetto di scuotere un poco l'equilibrio delle affermazioni e diminuire l'efficacia della persuasione»). O cerca refrigerio rileggendo Lord Jim, dove «la morale, intesa come pittura dell'uomo interno, si mangia e consuma il romanzo d'avventura». 0 rrjmpe l'assedio cartaceo («Le biblioteche oggi si concepiscono essenzialmente sotto l'aspetto di falò») componendo lui stesso un acquerello narrativo, un'oasi di pulizia (la «pulizia di mestiere» pascarelhana) e di poesia: «Ecco il freddo davvero, e non più soltanto in allegorie concepite ad uso dei venditori di stufe e panciotti; ecco autentiche nevi e squallori boreali! Via Nazionale sembra un reparto della banchisa antartica...». Pare un «pesce rosso», un eco dell'elzevirare maiuscolo che ha in Cecchi il capofila. Maiuscolo perché mai vacuo, perché nutrito da una lunga sapienza. Perché un «giornalista» bene o male «bisogna si rassegni a dipendere, se vuol sapere e vuol fare qualcosa, da Swift e da Machiavelli, da Pascal, da Demostene e da Sant'Agostino. Bruno Quaranta

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