Clinton: la nostra guerra giusta

Clinton: la nostra guerra giusta UN INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI Clinton: la nostra guerra giusta «Libereremo il Kosovo dalla pulizia etnica» DALLA PRIMA PAGINA William Jefferson Clinton aUELI.E immagini, le abbiamo viste per la prima volta in Croazia, poi in Bosnia. In un primo momento la comunità internazionale reagì con studiata neutralità, equiparando le vittime agli aggressori. Poi con la diplomazia e schierando truppe di pace disarmate, con il mandato di difendere i civili, ma senza i mezzi per farlo. Quando la Nato entrò in aziona, 250 mila persone erano già state uccise, oltre 2 milioni deportate, e molte non hanno ancora fatto ritorno a casa. In futuro, pensando al Kosovo, si dirà che in quest'occasione sono state salvate più vite, e che tutti i rifugiati son tornati a casa, perche abbiamo agito rapidamente e con forza sufficiente. Il conflitto balcanico iniziato 10 anni fa nel Kosovo, finirà in Kosovo. Non siamo in grado di reagire dappertutto a simili tragedie, ma quando il conflitto etnico si trasforma in pulizia etnica, ovunque la nostra azione possa essere determinante, dobbiamo tentare. E questo è il caso del Kosovo. Se avessimo mancato a quest'imperativo, il risultato sarebbe stato un disastro morale e strategico. I kosovari sarebbero divenuti un popolo senza patria, condannati a vivere in condizioni difficili in alcuni dei Paesi più poveri d'Europa, le cui democrazie sono ancora fragili. Il conflitto balcanico sarebbe continuato indefinitamente, minacciando di estendersi in una guerra più vasta ed in continue tensioni con la Russia. La stessa Nato sarebbe stata screditata per aver mancato di difendere gli stessi valori che danno senso all'Alleanza. Chi dice che il Kosovo è troppo piccolo per avere grande importanza dimentica queste semplici verità. Quando la violenza in Kosovo iniziò, nei primi mesi del 98, percorremmo ogni sentiero diplomatico per trovare una soluzione. Nell'ottobre scorso convincemmo Milosevic a ritirare parte delle sue forze dal Kosovo, ed a consentire ad una presenza internazionale disarmata. E' la stessa soluzione che i partigiani del compromesso propongono oggi. Ma è già fallita l'autunno scorso. Milosevic disattese le sue promesse, spedi più truppe in Kosovo e si tenne pronto per un'offensiva che aveva preparato da mesi. Quando iniziò, dovemmo agire. La strategia di Milosevic è di superarci sulla distanza dividendo l'Alleanza. Ma ha fallito. Invece della divisione a Bruxelles, ci sono crescenti segni di disincanto a Belgrado: soldati serbi che abbandonano i loro posti, civili serbi che protestano contro la politica del leader, giovani che sfuggono alla leva, personalità serbe che invitano Milosevic ad accettare le condizioni della Nato. Nel frattempo la nostra campagna aerea ha distrutto o danneggiato un terzo delle forze corazzate serbe in Kosovo, metà della loro artiglierìa, gran parte della loro capacità produttiva di munizioni, l'intera capacità di raffinazione di carburante, ed ha prodotto enormi danni ad altri settori dell'economia. Pur avendo deportato centinaia di migliaia di kosovari dalle loro case, Milosevic non ha eliminato l'E¬ sercito di liberazione del Kosovo (Uck). I suoi effettivi stanno invece crescendo, e l'Uck ha iniziato a passare all'offensiva contro le forze serbe, impegnate a nascondersi dagli attacchi aerei. Ora Milosevic ha davanti la certezza del persistere degli attacchi aerei, la sopravvivenza dell'Uck e la prospettiva di dover rispondere al proprio popolo per aver lanciato un conflitto impossibile da vincere, che sta portando al fallimento militalo ed alla rovina economica. Il problema ora non è se la pulizia etnica sarà fermata, ma quando. E quanti militari egli è intanto disposto a vedere massacrati. Anche se non escludo altre opzioni militari, noi perseguiamo la strategia attuale per tre motivi. Primo, e più importante, perché sta funzionando e riuscirà a far rispettare le condizioni poste dalla Nato: riportare a casa i kosovari, con i serbi fuori dal territorio e lo spiegamento di una forza internazionale di sicurezza. Questa forza deve avere la Nato come nucleo, il che significa che deve avere un comando Nato, controllo Nato e regole di ingaggio Nato, con particolari disposizioni per i Paesi non Nato, proprio come in Bosnia. La nostra campagna militare continuerà finché queste condizioni non verranno rispettate, non per cocciutaggine o arbitrarietà, ma perché queste sono le sole condizioni che consentiranno ai rifugiati di tornare tranquillamente alle proprie case, ed all'Uck di avere una qualche controparte al disarmo. Sono le condizioni base per una soluzione che possa funzionare. In secondo luogo la nostra strategia gode di un appoggio ampio e profondo nell Alleanza, e ci permette di raggiungere i nostri obiettivi. Anche se possono esserci differenze di politica interna, di legami culturali con i Balcani e di idee sulla tattica, la nostra unità d'obiettivi e la nostra volontà di vincere non sono in discussione. Io ho lavorato duramente per raggiungere questo consenso, e dopo 60 giorni di campagna aerea, la Nato è più unita sul Kosovo di quanto non fosse al suo inizio. In terzo luogo, questa strategia ci dà la migliore occasio¬ ne di raggiungere i nostri obiettivi in un modo che rafforza, non indebolisce, il nostro fondamentale interesse in una relazione positiva, di lungo termine, con la Russia. La Russia sta ora aiutando a trovare il modo in cui Belgrado può soddisfare le nostre condizioni. Truppe russe dovrebbero partecipare alla forza che manterrà la pace in Kosovo, trasformando una fonte di tensione in un'occasione di cooperazione, così come è stato per il nostro sforzo comune in Bosnia. Infine, dobbiamo ricordare che la sconfitta della pulizia etnica in Kosovo non è sufficiente a por fine al conflitto etnico nei Balcani e ad assicurare una durevole stabilità. L'Unione europea e gli Stati Uniti devono fare per 1 Europa sud-orientale quel che noi facemmo per l'Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale, e per l'Europa centrale dopo la guerra fredda. Libertà, rispetto per i diritti delle minoranze e prosperità sono potenti fattori di progresso. Essi danno ai popoli degli obiettivi per cui lavorare, elevano la speranza al di sopra della paura e il domani al di sopra del passato. Possiamo farlo ricostruendo economie disastrate, incoraggiando il commercio e gli investimenti ed aiutando le nazioni della regione ad aderire alla Nato ed all'Unione europea. Le democrazie della regione stanno già reagendo alla spinta integrativa, portando avanti le riforme, accettando i profughi ed appoggiando la campagna della Nato. Una Serbia democratica, che rispetti i diritti dei propri cittadini e dei propri vicini può e deve unirsi a loro. Se lo fa, la aiuteremo a ristabilirsi e ad occupare il suo giusto posto come Stato europeo dei Balcani, e non come Stato balcanizzato alla periferia d'Europa. I Balcani non sono condannati ad essere il cuore di tenebra d'Europa, una regione di moschee bombardate, di uomini e ragazzi fucilati alle spalle, di giovani donne stuprate, e con tutte le tracce delia storia comune ed individuale riscritte o cancellate. Così come i leader hanno portato i propri popoli lungo quella discesa, ì leader devono riportarli ad un futuro migliore. Alla fine, noi e i nostri alleati possiamo fare in modo che ciò accada, purché restiamo fermi nel proseguire la campagna della Nato e perseguiamo una strategia che garantisca che le forze che tengono assieme l'Europa sud-orientale sono più potenti di quelle che la vogliono dividere. Copyright The New York Times-La Stampa «L'instabilità nei Balcani è una minaccia per un'Europa pacifica, unita e libera» «Dopo sessanta giorni di raidla Nato è più compatta di quanto non fosse all'inizio» Una. recente immagina del presidente Bill Clinton durante una visita alla baie dell'aviazione americana a Spangdahlem, In Germania

Persone citate: Bill Clinton, Clinton, Milosevic, William Jefferson Clinton