«Raid aerei, eppur funzionano» di John Keegan

«Raid aerei, eppur funzionano» L'ANALISTA MILITARE RIVEDE LE SUE POSIZIONI Keegan: inJugoslavia le prime ribellioni analisi John Keegan LONDRA ARRIVANO segnali che la campagna aerea contro Slobodan Milosevic forse funziona. Voci di disordini nelle città della provincia serba, con le famiglie dei soldati che protestano contro l'invio nel Kosovo dei loro figli sotto lovo, sono il primo segno che la presa del presidente sulla sua gente si sta forse allentando. Due protesto - le uniche di cui si è avuta notizia - non significano un crollo morale. Ciò nonostante, so sono vere, indicano una breccia nella facciata dell'unità che Milosevic è riuscito a conservare sotto la campagna di bombardamenti Nato. So la guerra dell'aria finirà per funzionare noi pochi mesi clic restano della stagione bellica di quest'anno, gli analisti militari, me compreso, dovranno dare qualche spiegazione. La comunità strategica, su ontrambe lo sponde dell'Atlantico, è stata cosi sprezzante verso il tentativo doll'alleanza di rovesciare il corso degli eventi in quel che resta della Jugoslavia federale soltanto con attacchi aerei, elio adesso i suoi inombri rischiano di apparire maldestri e confusi. E magari qualcuno chiederà loro di spiegare che cosa hanno lasciato fuori dal conto. Se apparirà chiaro che si sono sbagliati • ma al momento non è così probabile sarà in gran parte a causa di due fattori: eccesso di fiducia nei precedenti storici e sottovalutazione delle nuove tecnologie. La storia dimostra che le campagne aeree non ottengono risultati decisivi se non vanno di pari passo con un'offensiva di torra o di mare. Qualunque generale d'armata aerea ribatterebbe, a chi sostenesse il contrario, che, semplicemente, è sempre stato cosi. Tuttavia - ed è un tuttavia importante - nessuna campagna aerea pura e semplice è mai stata organizzata con armi di precisione. Forse abbiamo guardato questa guerra nel modo .sbagliato. Anziché deplorare i colpi sbagliati e le morti «accidentali», anziché deridere l'idea di una vittoria da cinquemila metri di altezza, avremmo dovuto forse riconoscero la straordinariamente alta proporzione di colpi accurati e questo è il secondo punto importante - chiederci quale effetto una precisione cosi fantastica stia avendo sul morale dei soldati jugoslavi. Mandare in Kosovo soldati di leva potrebbe rivelarsi come il principale errore di Milosevic. Se ragazzi mal addestrati sono testimoni, notte dopo notte, della distruzione degli armamenti e delle postazioni militari che dovrebbero difendere, se vengono a sapere della morte di loro coetanei sotto gli attacchi di precisione, potrebbero cominciare a chiedersi quando un missile con scritto il loro nomo piomberà sulla loro strada. Sarebbe strano se loro - e le loro famiglie - non so lo chiedessero. Il morale della polizia speciale e di altri paramilitari potrebbe invece non essere altrettanto influenzabile. Un consiglio migliore a Milosevic sarebbe stato quello di utilizzare i professionisti per ripulire il Kosovo, lasciando i soldati di leva a casa. Se il morale di questi giovani uomini, torrorizzati e lontani da casa, ha cominciato a sgretolarsi, con effetti che arrivano fm nelle piccole città e nei villaggi della Serbia, Milosevic potrebbe scoprire che la crisi interna che fmora ha evitato è imminente. Eppure coloro che dirigono la guerra, anche se finirà bene, non avranno un buon motivo per rallegrarsene. So sta emergendo che questa è una guerra di stati d'animo - la determinazione dei soldati serbi a sopportare la paura contro la pazienza dell'opinione pubblica Nato in un'apparente assenza di risultati -, Clinton e Blair dovrebbero ora assumersi la responsabilità di non aver offerto sufficiente appoggio al morale del loro elettorato e avere mal calcolato quello del loro nemico. Ora gli italiani chiedono una pausa nei bombardamenti. Questa proposta ha molti aspetti positivi. Qualche notte senza bombarda- menti - nulla più di qualche notte, con l'assicurazione che i bombardamenti ricominceranno presto potrebbe avere un forte impatto sul morale serbo. Le pause potrebbero essere ripetute, in un gioco del gatto con il topo. Non ha senso essere gentili. E non ne ha neppure stancare l'opinione pubblica serba e quella Nato con la spietatezza, che spinge i serbi a stringere ancor di più ì denti e distrae l'elettorato occidentale. Oggi l'attenzione pubblica è un punto chiave. Se la guerra sta volgendo al meglio, dev'essere detto all'opinione pubblica Nato, e in modo chiaro. Finora le dichiarazioni dalla Casa Bianca, da Dovvning Street o dal quartier generale Nato sono state assai poco convincenti. La «presentazione» di questa guerra è stata, fin dall'inizio, un esempio di come non si devono fare le relazioni pubbliche in tempo di guerra. In un primo tempo ci è stato detto che la guerra sarebbe durata soltanto qualche giorno. L'idea di Edward Luttwak, che il Dipartimento di Stato ritenesse che qualche giorno di bombardamenti «convincenti» avrebbero indotto Milosevic ad accettare gli accordi di Rambouillet, sembra sempre più giusta. Poi, quando Milosevic si è irrigidito, ci è stato detto che i bombardamenti funzionavano lo stesso. Quando è stato chiaro che non era vero, con i profughi che affluivano nel Kosovo a centinaia di migliaia, ci è stato detto che i bombardamenti avrebbero funzionato nel lungo periodo. Ora l'opinione pubblica non sa più cosa pensare. E' mancata la franchezza. Un commentatore britannico predisse che Tony Blair sarebbe emerso dalla guerra con una statura «churchilliana». Questo dipenderà dalla vittoria, un esito ancora dubbio, e richiederà l'adozione immediata di un confronto diretto e concreto con il pubblico. Churchill, nel suo discorso alla radio del 19 maggio 1940, che incominciava «Vi parlo per la prima volta come Primo Ministro», mescolò un appello all'amor di patria con un'analisi militare assai dettagliata, che mise la dura verità direttamente sotto il naso degli inglesi. Questa non è una crisi di sopravvivenza nazionale. E' però una crisi di credibilità per l'alleanza dalla quale la nostra sopravvivenza dipende da cinquantanni. Finora, Blair ha messo in gioco soltanto i sentimenti, appellandosi alla solidarietà dèi suo popolo alla vista dei kosovari sofferenti. Diamola per scontata. Ora abbiamo bisogno di sentire - da Blair, non dalla sua macchina per la propaganda - una sobria valutazione di come stia andando la guerra. Che le notizie siano buone o cattive, il Paese ha comunque diritto a sentire un discorso sincero. 'Storico e analista militare Daily Telegrapb -La Stampa «Non è ancora il crolio morale ma è una breccia nella unità del Paese» «Sì all'idea italiana di una pausa negli attacchi, purché riprendano presto» «Raid aerei, eppur funzionano»

Luoghi citati: Jugoslavia, Kosovo, Londra, Rambouillet, Serbia