Rischio «cassa di risonanza»

Rischio «cassa di risonanza» Rischio «cassa di risonanza» I giornalisti di fronte al documento Br Raffaella Sllipo La tragedia e l'informazione, il pericolo di fare da «cassa di risonanza» e il diritto di cronaca. Non è cosi facile, oggi come vent'ànni fa, essere giornalisti di fronte al terrorismo: allora i quotidiani patirono un vero e proprio ricatto da parte delle Br, durante il caso D'Orso, quando i terroristi subordinarono la liberazione del giudice alla pubblicazione del loro documento. Ma anche oggi, pur in un contesto meno parossistico, le strade possibili sono più d'una e ogni direttore segue, e difende, la sua. Così, per il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, «il problema di fare o meno da cassa di risonanza si pone, eccome». Mentre per quello del Messaggero Pietro Calabrese, che ha pubblicato parte del documento in prima pagina, «il giornalista ha un solo dovere nei confronti della collettività: raccontare i fatti». Due fronti contrapposti e trasver¬ sali, che vedono da una parte i fautori del «filtro» e dall'altra quelli della «trasparenza». «Noi abbiamo deciso ' di dare il sènso del documento solo per informare l'opinione pubblica spiega Mauro -. Ma pubblicarne ampi stralci sarebbe una pura operazione di propaganda». Sulla stessa linea Paolo Garnbescia dall'Unità: «20 anni fa come oggi penso che non si debbano pubblicare i documenti, ma spiegarne il contenuto. E' necessario conoscere per capire, ma con un'adeguata guida alla lettura». Si associa Emilio Fede, del Tg4: «Se vogliamo davvero agire contro il terrorismo, dobbiamo tacere per evitare che i terroristi possano fare presa su qualche frangia di pubblico». Dal fronte della «trasparenza» ribadisce Calabrese: «Dobbiamo raccontare tutto anche in nome di quei giornalisti che nella lotta alle Br anno rimesso la vita. Non dimentichiamolo». Pensa ai giovani Marcello Sorgi de La Stampa: «Non sanno nulla del terrorismo, ne hanno letto solo sui libri e quindi quando si dedicano sette-otto pagine o mezzo tg alla notizia non ha senso censurare poche righe di un documento». E Sandro Curzi di Liberazione sottolinea che «oggi ci sono molti più strumenti di comunicazione e quindi la censura avrebbe ancora meno senso e sarebbe tanto più sbagliato dare verità parziali perchè con Internet si è rotto questo muro». Per Bruno Vespa di Porta a porta «in questo caso la pubblicazione non è dannosa perchè la gente deve sapere che c'è un'abissale e atroce differenza fra le tesi scritte e il delitto, che in una democrazia si discute ma non si spara». Quasi tutti sottolineano come sia profondamente cambiata la realtà sociale in Italia: «La lotta armata, purtroppo, continua a esistere - dice Enrico Mentana, direttore del Tg5 ma non esiste più 1' "area adescatile" che 15-20 anni fa si autodefiniva nè con lo Stato, nè con le Br. Il 99% dei telespettatori è contro la violenza e non c'è più quella zona grigia di possibili simpatizzanti che possono essere influenzati. La "massa impressionabile" dov'è?». «Allora le Br godevano" di un alone di simpatia ribadisce anche Mario Cervi del Giornale - su cui la pubblicazione poteva avere influenza; adesso l'isolamento è tale che il contagio è diventato minore o nullo». «E' molto diffìcile che tornino gli anni di piombo - concorda Calabrese -: è diverso il contesto politico, sociale, sindacale, economico e sono molto diversi i giovani che allora erano più politicizzati e ideologizzati. L'unico elemento di ripetitività, purtroppo, è l'atroce fine di un poveraccio che faceva il suo lavoro e che viene ammazzato in una mattina di maggio». Solo una voce''dissonante: «Certo i tempi sono diversi - ammonisce Fede -, ma non si sa mai come si può finire».

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