«Qui nei centri sociali il terrorismo non c'è» di Francesco La Licata

«Qui nei centri sociali il terrorismo non c'è» RABBIA E DISSOCIAZIONE TRA I GRUPPI ROMANI «Qui nei centri sociali il terrorismo non c'è» reportage Francesco La Licata ROMA UNA notte e una mattinata è durata la riflessione dei Centri sociali romani. E' ovvio che si aspettassero questa «chiamata in causa», al1 indomani dell'assassinio di Massimo D'Antona. Conoscono i meccanismi, i riflessi condizionati, gli automatismi che si mettono in moto dopo ogni episodio allarmante, come può essera la ricomparsa addirittura del fantasma delle Brigate rosse. Per questo deve essersi svolta una sorta di consultazione allargata prima di decidere - ed era già il pomeriggio di ieri - di accettare il colloquio coi giornalisti. Forse è eccessivo parlare di «scelta di linea» per questi rppi che rifiutano il modello partiti e delle rappresentanze, però qualcosa di diverso sembra essere accaduta ieri. Non una marcia indietro rispetto ad atteggiamenti di chiusura, perché una certa diffidenza verso il cronista sopravvive. Semmai un piccolo passo in direzione di un confronto che serviva ai «Centri», per chiamarsi fuori rispetto alla recrudescenza terroristica, e servirà a tutti per comprendere un mondo che viene vissuto come «separato». L'appuntamento è per le 17 al «Corto circuito» di via Filippo Serafini, in una ex scuola elementare occupata ed autogestita che sta proprio in mezzo tra Cinecittà e la Casilina. La mattinata se n'è andata alla ricerca di un contatto telefonico buono per organizzare l'incontro. Fino alle 14 nessuna decisione, anche se si comincia a delineare un certo interesse per la proposta dei cronisti. Anna Maria, del centro sociale «Intifada», di Casal Bruciato, tiene i contatti con gli altri. Radio «Città aperta» annuncia un dibattito pomeridiano ccn gli ascoltatori che, nella quasi totalità, appartengono al popolo dei «Centri»: «Telefonate e dite la vostra su Sianto è accaduto in via Salaai. «Corto circuito» si trova in mezzo al verde. Tra giostre, al¬ talene e giochi per bambini che tradiscono la sua originaria destinazione. Novità recente il campo di calcetto dove si disputano tornei per grandi e piccoli col rassicurante slogan di «Prendi a calci la guerra». Il ritratto del «Che» guarda un poster dedicato «al compagno Auro Bruni», morto tra le fiamme nel 1991. «Sono stati i fascisti dice Franco - ma la magistratura non ha mai concluso nulla». La macchina elettrica manda un buon odore di caffè. Le panche dell'atrio aperto sono tutte occupate, La radiolina del cronista offre la telefonata di tal Stefano a «Città aperta»: «Fa comodo un pericolo all'interno del Paese per tacitare chi non è d'accordo con la guerra». Lo studio incalza: «Già, se non si è solidali, si è criminali». Interruzione dell'ascolto perché i leader del «Centro» danno inscio all'incontro. Ci si siede nella Sala proiezione. Tutti a semicerchio, C'è Daniele rii'ano, un passato in «Autonomia operaia» pagato con cinque anni di carcere. Altri giovani, maschi e ragazze, disposti in «formazione assemblea». Presenziano i rappresentanti di più «Centri»: Ya basta, Forte Prenestino, Intifada, Villaggio Globale, che riferiscono di un documento firmato anche da Leoncavallo, dagli anarchici della «Glusolfa», dai Centri sociali del Nord Est e Centro Est e dalla Talpa e l'Orologio di Imperia. Una condanna netta al terrorismo. «Chi è per la pace - dicono - non può avere la logica dell'omicidio». Poi là condanna per quanto è stato dichiarato da rappresentanti del mondo politico e istituzionale. «Quella lettura - dicono - che avalla il binomio "conflitto sociale-terrorismo", non è giustificabile. Conosciamo la storia: serve per introdurre la cosiddetta "legislazione dell'emergenza" e una involuzione autoritaria». E' impossibile, dunque, che il nuovo terrorismo trovi terreno di coltura nei Centri sociali? La spiegazione la dà Pifano. «Questa è una lettura di comodo. Molti che a suo tempo abbiamo percorso quella strada, pagando di persona, ci siamo resi conto che non portava da nessuna parte. Ha solo distrutto percor- iiarte si e persone che si sono trovate con la strada sbarrata e nella impossibilità di tornare indietro». Pifano si appassiona e replica: «La criminalizzazione dei Centri sociali è inaccettabile ed è inaccettabile che i giornalisti vengano a farti queste domande, dopo che è stata sistematicamente ignorata l'attività dei gruppi nel campo della lotta per il riconoscimento di diritti elementari. Bisogna finirla di identificare il conflitto sociale col terrorismo». Sarà questo, il punto fermo di tutti. Emiliano: «Ci siamo scontrati, è vero. Ma lo abbiamo fatto sempre a vico aperto, cercando di spiegare a tutti cosa facciamo e perché». E Franco: «Il movimento non considera un successo l'annientamento, la morte, dell'avversario. Sembrerà forse ottimistico, ma lottiamo per far capire le nostre ragioni e cambiare un sistema certamente ingiusto». Ancora più critico, Pifano: «Chi ha ucciso D'Antona ha scritto di dittatura dal proletariato. Vi rendete conto che una cosa del ge¬ nere non la si sento più neppure nelle assemblee dei sopravvissuti più sfigati?». Annuisce Fabrizio, anche lui un passato movimentato, che critica l'analisi del «pentito Etro» (Raimondo Etro, a suo tempo coinvolto nel sequestro Moro, ha dichiarato che ì Centri copiali sono in qualche modo sotto l'influenza di personaggi del passato) a proposito delle ipotesi di coinvolgimento nel nuovo terrorismo di ex «combattenti». «Abbiamo rotto - dice - col passato, col nostro passato. La dittatura del proletariato appartiene a un'aspirazione più psichiatrica che politica». C'è, tuttavia, una domanda che non si può non fare. Consigliereste ad un giovane compagno, che per avventura avesse riconosciuto uno dei killer, di raccontare tutto alla polizia? Trapela qualche imbarazzo: «Ma perche ci venite a fare queste domande? Vi aspettate di farci cadere nel vecchio trabocchetto del "né con lo Stato né con le Br?' Rigirate le domande a chi, anche nella società cosiddetta civile, dell'omicidio politico fa uso comune. E' giusto indignarsi per una vittima innocente. Ma sarebbe giusto piangere anche per le vittime delle guerre. Che non sono mai giuste». Risposta ad effetto, ma il quesito non è risolto. «E' vero, ci siamo scontrati. Ma lo abbiamo fatto sempre a viso scoperto» «Il movimento non considera un successo l'annientamento dell'avversario» CASA DEL POP L'ingresso del centro sociale romano «Alice nella città»

Persone citate: Anna Maria, D'antona, Leoncavallo, Massimo D'antona, Pifano, Raimondo Etro, Villaggio Globale

Luoghi citati: Imperia, Roma