Un piano per rifondare le Brigate rosse di Giovanni Bianconi

Un piano per rifondare le Brigate rosse D linguaggio è quello di sempre, dietro il delitto ci sarebbe qualcuno che ha già vissuto l'esperienza brigatista Un piano per rifondare le Brigate rosse L'obiettivo è ricompattare un arcipelago di gruppi Giovanni Bianconi ROMA Sul luogo dell'agguato hanno lasciato due proiettili deformati e i due furgoni utilizzati per la copertura dell'azione. Poche oro dopo sono saltate fuori le ventotto pagine scritte al computer, fitte fitte come si faceva un tempo per risparmiare sui costi di ciclostile e fotocopie, con la stella a cinque punte in cima e un florilegio di slogan in fondo. E' il biglietto da visita delle nuove Brigate rosse, tornate in scena undici anni dopo l'ultimo clamoroso omicidio, quello del senatore Roberto Ruffilli. Scese in campo, dicono, per ricompattare quel mare di sigle che in questo decennio sono comparse e scomparse dietro una mirìade di piccole azioni dimostrative, nessuna eclatante ma continue nel tempo, a dimostrare che un certo livello di scontro non s'è mai sopito. Il programma è scritto, col linguaggio criptico dei vecchi tempi, nelle ultime righe di pagina 18: «Le avanguardie rivoluzionarie si rapportano con i caratteri storici presenti della Fase di Rivoluzione, cioè con la necessità di operare un processo di aggregazione dal quale si possano selezionare i termini complessivi necessari alla ricostruzione di un'Occ (or- ganizzazione comunista comattente, ndr) che agisca da Partito per costruire il partito e che, in quanto tale, possa costituire il Nucleo Fondante il partito». Siamo alla Rifondazione brigatista, quindi, e il vecchio poliziotto che ha passato gli Anni Settanta a Ottanta a leggere decine di documenti come questo commenta: «Questo pezzo di carta ha tutta l'aria di essere autentico. La grafica è un po' diversa, perché s'è adeguata ai tempi; il linguaggio, invece, è quello dì sempre». Questo significa che gli autori' si sono rifatti ai modelli passati, senza aver partecipato all'esperiènza' degb Anni Ottanta, oppure che a stendere le nuove 28 pagine è stata qualche mano che già allora s'era data da fare con pistole, mitra e volantini? A una simile domanda nessuno, oggi, è in grado di rispondere, ma lo stesso vecchio poliziotto pensa che dietro l'omicidio di Massimo D'Antona, quanto meno dietro l'ideazione, ci sia qualcuno che è già passato per l'esperienza brigatista. In carcere, distribuiti tra i penitenziari di mezza Italia, ci sono almeno una settantina di «irriducibili» che non hanno mai smesso di sentirsi brigatisti e di produrre materiale ideologico per la lóro causa. Inoltre usufruiscono di permessi, che significano scarcerazione, anche se temporanea, molti ex Br che non hanno mai abiurato la scelta della lotta armata. Nessuno vuole criminalizzare nessuno, nemmeno tra gli investigatori che non hanno mai smesso di occuparsi di terrorismo anche durante il decennio di «sonno», ma che dietro l'azione di ieri ci sia qualche residuo del vecchio «partito armato» sono in molti a pensarlo. Perché nel documento neo-brigatista non c'è solo l'ispirazione all'epericnza del passato, ma se ne rivendica la continuità; e poi per certe coincidenze tra l'agguato e un momento cruciale della vita del Paese.' L'omicidio di D'Antona ha senz'altro avuto una preparazione laboriosa. C'è Voluto del tempo per individuare l'obiettivo, dell'altro per sviluppare 1'«inchiesta» sul personaggio studio di abitudini e movimenti -, altro ancora per organizzare operativamente l'agguato. Pronto, guarda caso, per ì giorni in cui il Parlamento italiano doveva eleggere il nuovo Capo dello Stato. Nessuno, fino a un giorno prima, avrebbe detto che Carlo Azeglio Ciampi sarebbe stato eletto al primo scrutinio; fosse andata un po' più per le lunghe, l'omicidio sarebbe caduto in piena «bagarre» quirinalizia. E che l'azione era programmata per un periodo compreso tra la fine della scorsa settimana e questa, lo dimostra un particolare: uno dei due furgoni bianchi rubati, utilizzati dai bri-. geristi, era parcheggiato in via Salaria almeno da venerdì scorso, come testimonia la titolare di un negozio di borse che sta proprio lì davanti, «Ci ho fatto caso perché mi dava fastidio», racconta. Un «tempismo» che ricorda il rapimento Moro messo a segno nel giorno della presentazione del nuovo governo alle Camere, per rimanere ai precedenti terroristici, perché sennò si può ricordare anche la strage mafiosa di Capaci nel bel mezzo di un'altra elezione presidenziale. Nei lunghi e articolati ragionamenti che dovrebbero servire a spiegare'l'omicidio di D'Antona ci sono espliciti riferimenti ad altri due attentati: uno del '92 alla sede romana della Confindustria, e un altro del '94, sempre a Roma, al comando «Defence College» della Nato. A firmare il primo furono i «Nu¬ clei comunisti combattenti» che, allora, gli analisti dell'anti-terrorismo credettero di individuare in un'evoluzione del gruppo «Guerriglia metropolitana», epigoni delle Br. L'attentato fallì perché gli esecutori si dimostrarono «inesperti e molto nervosi», secondo gli investigatori. Se c'è continuità anche di persone, tra il '92 e oggi, vuol dire che il livello operativo è migliorato, e di molto. I testimoni hanno visto fuggire solo due persone dopo l'omicidio, ma per un'azione del genere doveva essere in campo un «commando» di almeno cinquesei persone. Quante altre ce ne siano dietro, poi, è tutto da chiarire. Ma l'area in cui cercare non manca, se nell'ultima relazione al Parlamento sulla sicurezza si parlava della ricomparsa di «documenti e sigle riconducibili a gruppi clandestini di matrice neo-brigatista, indicative di simmetrie concettuaU nei propositi di rilancio della lotta armata». Il pericolo, scrivevano gli analisti dei Servizi segreti, era quello di «azioni dimostrative ed intimidatorie» nei confronti della Nato, «ma anche contro emblemi ed esponenti dello Stato e del mondo politico, con particolare riguardo all'arco delle forze di governo, economico e sindacale». Massimo D'Antona, come dice il ministro Bassolino, rappresentava tutte queste cose insieme, ma l'hanno colpito andando ben oltre l'intimidazione e l'atto dimostrativo. " ""A" ""^ J NASCITA 1972 J FONDATORI Reneto Curdo, Alberto Frantesthlnl, Margherita Cago! {Moro) J PRIMO Renato Curdo, Alberto ESECUTIVO Franceschi»!!, Merio Moretti, Metro Moriocchl _J ALTRI Lauro Azzcilnl, Franco Bonlsoli, LEADER Adriana Forando, Prospero Galllnari, Valerio Morosi, Patrizio Peci, Giorgio Semerla, Giovanni Senzanì, Corrado Slmionl I PRIMI NUCLEI Milano, Tarino e Venezie Jj IL SIMBOLO Stella o cinque punte I GII Sequestro di Idolgo Macchiarmi ESORDI (dirìgente Sit-Siemens, 1973); sequestro di Morto Soni (magistrato, 1974) li DELITTI Francesco Ceco (1976), Cario SIMBOLO Catalogne 11977), Aldo Moro (19781, Guido Rossa (1979), VW()rloBochek»t(1980) J ULTIMI Ezio Tarameli! (27 marzo 1985, OMICIDI professore universitario); Landò Conti (ex sindaco di Firenze, !0 febbraio 1986); Roberto Ruffilli (16 aprile 1988, consigliere per le riforme istituzionali del governo De Mito) J PRIMO PENTITO Patrizio Peci I tecnici della polizia scientifica nel punto in cui è stato ucciso Massimo D'Antona. A destra, il furgone Ducato dietro cui i terroristi hanno atteso l'arrivo del consulente del governo

Luoghi citati: Capaci, Firenze, Italia, Milano, Roma