Quattro colpi per abbattere il professore di Francesco La Licata

Quattro colpi per abbattere il professore Agguato sotto casa a Massimo D'Antona, avvocato e giurista, consulente di vari governi Quattro colpi per abbattere il professore Roma, ucciso il braccio destro del ministro del Lavoro Francesco La Licata R0MA~" Cento metri. In contro metri di una strada che è anche simbolo di Roma borghese, la via Salaria che collega via Po con piazza Fiume, ieri mattina ha ripreso corpo l'incubo del terrorismo. Sembrava ci fossimo liberati di quella angoscia che, per un lungo periodo, fece precipitare l'Italia nel buio. E invece no. In una mattinata calda e ventosa, conseguenza dello scirocco che da venti giorni affligge il Sud, mentre la via Salaria cominciava la giornata, quattro ripari, appena avvertiti dal quartiere, hanno avuto il potere dirompente di riportarci indietro. Come in una terrificante moviola. Un uomo, mite e indifeso, è caduto sotto i colpi di assassini calmi e precisi. Un professore esperto di Diritto del Lavoro. Si chiamava Massimo D'Antona, aveva 51 anni o insegnava alla «Sapienza». E' stato consulente di più governi, di iù iitri Cllb più ministri. Collaborava con Antonio Bassolino. Ultimo incarico, prima di quei quattro proiettili ('calibro trentotto», il piano per l'occupazione del '99, che proprio oggi viene sottoposto al Consiglio doi ministri. Adesso non potrà più lavorare ad un progetto pensato per dare corpo alle speranze di tanti giovani in cerca d'occupazione. La via Salaria, a due passi dalla «Sapienza», facoltà di Sociologia, diventa tomba del docente amato da colleghi e studenti. Ma 11, lungo il muro di cinta dove si accascia D'Antona, vacilla anche la certezza di aver allontanato per seniore lo spettro del terrorismo. Sono lo 8,10, quando Massimo D'Antona esce dal portone contrassegnato col n. 128, un edifìcio di proprietà doll'INA. Ha lasciato la moglie, Olga, e la figlia Valentina, noll'appartamonto del quinto piano. Gran parte Clelia notto, il docente, l'ha spesa por metterò a punto il piano por l'occupaziono. Con lui le borse inseparabili: la custodia del computer o la classica borsa di cuoio. C'è poca gente in quel tratto di via Salaria che comincia ad angolo con via Po. I negozi sono ancora chiusi, i commercianti più matti- meri stanno per alzare le saracinesche. Sono un paio, non di più. Tutti, in quei cento metri, conoscono il prof. D'Antona. Tutti sanno che è un docente, ma pochi lo associano al ruolo di consulente governativo. I vicini sono abituati a vederlo muovere come un tranquillo borghese, non certamente nella veste di «importante uomo di governo». Sarà per questo che, por divorse ore, in via Salaria nessuno ha pensato per un momento ad un agguato terroristico. I pochi che hanno visto sono rimasti inorriditi, ma il pensiero delle brigate rosse non li ha neppure sfiorati. Massimo D'Antona, dunque, si dirige a piedi verso il suo studio di via Bergamo, in d in v. ione di piazza Fiume'.' Attraversa'la via Basente, subito dopo la via Adda. Certamente non dà importanza ai duo furgoni posteggiati ai lati di via Salaria. Un «Ducato» e un «Nissan», il primo coi vetri oscurati da adesivo bianco. Non immagina, la vittima designata, che da dentro è osservato. Non sa che chissà da quanti giorni, qualcuno lo spia, lo segue, ne studia i movimenti con precisione ragioneristica. Ha appena raggiunto il marciapiedi di villa Albania, poco più di cento passi da casa sua, quando alle spalle, schizzati da dentro il furgone, si materializzano i due assassini. Sparano al petto, al bersaglio grosso, si dice in gergo militare. Il professore viene schiacciato al muro. La forza d'urto dei proiettili lo fa indiotreggiare. Cerca di proteggersi, si fa scudo con la borsa. Inutile, perchè il piombo gli trapassa anche le braccia alzate a protezione. Poi, il petto già bagnato dal sangue, scivola lentamente in basso, fino ad accasciarsi sul marciapiedi. Le forzo gli vengono meno e si separa dallo borse. «Ho visto i piedi spuntare da dietro una macchina posteggiata», dice la signora che, mentre il professore veniva ucciso, si accingeva ad aprire il negozio. Era col marito e il figlio. Il ragazzo si è avvicinato alla vittima: «Era ancora vivo, il professore. Chiedeva aiuto, bisbigliava qualcosa. Sono andato istintivamente verso via Adda e mi sono incrociato coi due killer. Ho visto che uno si infilava la pistola nella cintola dei pantaloni. Erano persone normalissime, facce comuni, non dimostravano nessuna emozione. Indossavano giacche a vento e, sotto, delle magliette. Una era rosa, o rossa. Avevano i jeans ed entrambi portavano dei cappelletti da baseball». E' l'unico testimone, il giovane. La madre non ha visto bene, il padre è stato portato in ospedale per un -malore. Alle 8,13 i due killer avevano già eseguito ^operazione» e si allontanavano per via Adda, in direzione di via Po, su una motoretta. Li vede un gruppo di turisti in partenza, dall'hotel Albani, verso Firenze e Venezia. Li incrocia anche una guida austriaca che, però, si distrae impegnato com'è a chiedere a tutti di «non spaventare i turisti». Neppure quei colpi di pistola, riescono ad animare la via Salaria. I pochi presenti, tuttavia, accorrono. La singora Lucia, fa la portinaia, dice che «sono fuggiti sulla motoretta». 11 ragazzo che ha visto avverte il «113» col suo telefono cellulare. Cosa può essere stato? Forse una rapina, dice uno. No, non hanno rubato nulla, obietta un altro commerciante, indicando le borse ancora per terra. E allora? Nessuno pensa ai terroristi. Forse non ci pensano neppure i primi investigatori giunti in via Salaria. Il prof. D'Antone viene portato al Poiiclino, con una corsa inutile. La scoperta dei due furgoni, entranbi rubati qualche tempo prima a Porta Portese e a Torrespaccata, apre uno squarcio. Già, si comincia a capire che l'agguato non è stato improvvisato. Via Salaria si riempie di gente, giungono i primi amici di Massimo D'Antona. Politici, sindacalisti, colleghi del docente, Un ragazzo piange: «Era un bravo insegnante e stava dalla parte dei giovani». I cento metri di via Salaria vengono «sterilizzati», alla ricerca di un indizio, una cicca di sigaretta, un'impronta, una pista qualunque. Ma quando la macchina investigativa comincia a girare a pieno ritmo, il fantasma delle brigate rosse è già presente in via Salaria. E le parole si inseguono, come a cercare una impossibile esorcizzazione. Fantasmi che aumentano col trascorrere delle ore. Nessuno se ne rende conto, ma con, un riflesso condizionato - si verifica un rito antico: la via Salaria diventa presidio di tutti. Mentre rimbalzano le notizie del «documento» inviato dalle br ai giornali. Come negli anni di piombo. E il presidente D'Alema mette l'attentato in coincidenza con l'elezione del Presidente della Repubblica. Come nei tempi bui. Un omicidio pianificato con tecnica militare Un ragazzo l'unico testimone: «Ho incrociato i due assassini Facce comuni non dimostravano alcuna emozione» ORE 8,1I due killer torino parchuna decina dell'agguatORE 8,5D'Antona, tun'ambulanUmberto I, il ricovero. ILI kiPer ancin dsonladal'altosu ORE 8,13 I due killer fuggono su un motorino parcheggiato in via Adda, una decina di metri oltre il punto dell'agguato. ORE 8,50 D'Antona, trasportato con un'ambulanza al vicino Policlinico Umberto I, muore poco dopo il ricovero. IL GRUPPO DI FUOCO I killer hanno messo in atto un piano militare. Per realizzarlo si sono serviti anche di due furgoni, rubati in date differenti. Tutti e due sono stati parcheggiati lungo la via Salaria: il primo un Nissan, sul lato destro, davanti a una profumeria; l'altro, un Ducato con i vetri oscurati, poco più avanti, sull'altro lato della strada. Da quest'ultimo sono usciti i due killer.

Luoghi citati: Albania, Firenze, Italia, Roma, Venezia