I papi passano BERNINI resta di Marco Vallora

I papi passano BERNINI resta Architetto, scultore, maestro di ftiochi d'artificio: si apre domani a Roma la mostra sul «regista» del barocco I papi passano BERNINI resta Marco Vallora ROMA fF I P" li80 I MJun HE a un curatore serio venga il dubbio, è più che legittimo. Ma è possibile, ha senso dedicare una «nostra» a un grandissimo eppure intrasportabile come Bernini, che ha lasciato testimonanza di sé in una leggerissima ma marmorea fantasmagoria di pietra? Questo «sublime favoleggiatore» come lo ha ribattezzato Aivar Gonzalez-Palacios, capace sì di raccontare storie magnetiche e ventose, un'ipnotizzatore che (è vero) ha transus tanziato la materia in fiato celestiale, in friabile eco delle alte sfere: ma com'è pensabile di poter trasferire al primo piano di un palazzo il mormorante fascino della Fontana dei Fiumi di Piazza Navona o la morbosa delectatio erotica della Beata Ludovica Albertoni, con quelle forme pesanti da matrona trasteverina? Insomma, ci voleva un'idea, un clic, come racconta il curatore Fagiolo dell'Arco nel catalogo Skira, prezioso documento di studio: «Ma certo, una mostra del Bernini esiste già, si chiama Roma!». Una Roma che, meritevolmente, per il Giubileo, ha iniziato per tempo a ripulire l'argenteria di famiglia, i prodigi berrùniani disseminati per la città. E' l'idea di questa serissima ma spettacolare mostra è stata proprio quella di «visualizzare» la presenza capillare e spesso inavvertita di Bernini nel tessuto connettivo urbano di un fasto che passa dall'architettura più sontuosa alle macchine dei fuochi d'artificio, dai trionfi per tavole principesche ai cataf àlchi funerari, sino alle rapinose Estasi di Sante morigerate travolte da un fragorosissimo orgasmo marmoreo. Appunto: Bernini regista e impresario frenetico del Barocco, «arbitro di quella professione» come già intuì d Passeri,' cofsuo talento multiforme e sbrigliato, che non s'arresta davanti a nessuna curiosità tecnica. A differenza del suo collaboratore e poi odiato rivale Borronùni, che sperimenta soprattutto nel cervello, Bernini si sporca le mani con la materia, affonda le dita rabdomanti nella terracotta, si cimenta con la «carta pista» e con quelle pennellate torturate e vive della sua pittura da spadaccino della somiglianza. Ma intanto dà ordini agli intagliatori e ai geniali scenografi di consolles e credenze per olii santi, come il prodigioso Chicari, consiglia come cavare il marmo a Carrara, dialoga con i «maestri di strada» per plasmare «teatri delli stupori» e apparati effimeri sempre più sontuosi e spettacolari, progetta e disegna sin nei minimi particolari carri carnevaleschi, organi, lampade, trionfi di zucchero, che non hanno fine. Come il dottor Dulcamara dell'Elisir, non smette di stupire, pescando nella bisaccia inesauribile del suo immaginario e il biografa Baldinucci ne rimane come sommerso: «Non si pongono le scene, le quarantore, fuochi d'allegrezza, catafalchi e mascherate». La sezione curata da GonzalezPalacios riserva anche la delizia di quei letti, più da choccare gli ospiti che da dormirci, che paiono grotte di Poliferno o Giardini d'Armida, con le coperte che simulano la paglia e il legno che si fa roccia. E i modellini di carrozze: allegorie del potere imbrigliato dalla saggezza, veicolo di propaganda, sfarzo da abbagliare i gonzi appena si varca la soglia della città. Dal soglio pontificio alla montatura (molto Wunderkaramer) per il dente di narvalo, potremmo dire, parafrasando un celebre titolo sul design: dal Tritone alle specchiere per Cristina di Svezia, animate come un giorno di mercato, col vecchio Cronos sgambettante in sottoveste nel vuoto. E quasi lo avvertiamo, vivo, Bernini, mentre prova e riprova come un saggiatore galileiano tecni che e materiali. Persino all'interno di una pala in mostra di Guidobaldo Abbatini lo vediamo planare come una furia, con quel suo sguardo d'aquila, 1' «air nardi», che colpiva i memorialisti. Sceglie di spostare una colonna, la ridipinge più al centro, e quella rimane un po' sbilenca, come uno Charlot ubriaco. Stordita. Del resto, proprio come il giovane Van Dyck, ha deciso che deve pubblicitariamente mettere in scena soprattutto quella sua «guardatura» tracontante e di fuoco e si specializza in autoritratti con un'intensità rivelatrice. Senza il tormento acciaiato di Rembrandt, ma con fini assai più propagandistici: si traveste da David, ci sfida attraverso la tela, c'incatena con quella presa da hildalgo torvo. Genialmente, ha capito tra i primi, che la carta (l'immagine incisa che divulga al mondo la sua effige) è più duratura del bronzo: l'immagine rimane, la materia deperisce. E lo teorizza su un frontespizio, cosi come affida l'immagine del suo Colonnato di San Pietro a due Fame, che voleranno sull'Europa. E quanti schizzi prima di licenziare questi apparati: quasi un Carlo Scarpa addestrato alla scuola del Cavalier Marino. L'interesse alto della mostra consiste proprio nell'inseguire il procedere mentale quando si manifesta (disegni, terracotte, abbozzi) l'immaginario quando s'imbriglia nella forma e rilutta a farsi pietra: ed è magnifico, nella sezione di confronto con il padre-scultore Pietro, veder nascere, ipoteticamente, scalpellata dopo scalpellata, la dirompente zampata del genio bambino, che già si voleva genio a otto anni, pulcino un po' scalpitante, che rompe i gusci contenuti del magistero paterno. E magari il suo tocco lo avverti soltanto in un fremente bottone di raso che stenta a restare nell'alveo dell'asola riottosa, oppure nella peluria stanca del ciglio di un Cardinale, assuefatto da secoli a piegare lo sguardo in un assenso sofferto. E' lo spettacolo luminoso della galleria dei busti, ben concertata da Michelangelo Lupo, come una sorta di sfilata felliniana di Papi e Cardinal nipoti (ma certo, quando Bernini prende in consegna Trinità dei Monti per il genetliaco del Delfino, altro che Schiffer e Rocco Barocco) e una slavina di rocce e di invenzioni da togliere il fiato). E' qui che entra in scena la Storia. Ma, come direbbe Marinetti: i Papi passano e Bernini resta. Convinto che «oltre la rassomiglianza bisogna metterci quello che c'è nella testa degli eroi» (e per lui sono eroi anche i Papi o i Cardinal Nepoti) solo lui è capace di scolpire busti cosi «vivi e respiranti» come intuì Fulvio Testi. I celebri «busti parlanti» che non comunicano soltanto con la bocca schiusa nel precipitare della veemenza, ma anche con i gesti, con una sorta di teatro dell'eloquenza. Vero premonitore della presse mica, questo insoddisfatto perfino di Michelangelo che trova «troppa chirurgo», quando fulmina papa Clemente X ce lo mostra come folgorato negli scatti progressivi dell'orazione, con quei modi insieme paternalistici e autoritari. Quasi un automa che si ridesti. Vero teatro d'anatomia E se da architetto ha saputo dise- Ì;tiare il volto di Palazzo Barberini truccato prima dal Maderno, poi da Borronùni) come se fosse davvero una fisionomia, così da «anùco delle acque» fluenti egli sa raccontare in modo trascinante il procedere crudele del Tempo dentro i tratti dei vari personaggi, che riprende dopo pochi anni, come un fotografo del marmo. Le occhiaie stuccate di Francesco Barberini, personaggio molieresco. 0 quell'Alexandre Dumas di Orsini. La pappagorgia sussiegosa e proterva di Scipione, ex«delizia di Roma». I mustacchi mal■ mostosi di Urbano Vili e poi i bizzosi anfratti della su U ascura la barba senile. E infine la ventosa, irascibile sprezzatura di Francesco I d'Este, con quella rocciosa burrasca di bianchi, che lasciano scoperto il fragore d'armatura. Si sporca le mani con la materia, affonda le dita rabdomanti nella terracotta, si cimenta con la «carta pista» e con pennellate da spadaccino della somiglianza L'oAutontratto» di Gian Lorenzo Bernini realizzato in olio su tela Intorno al 1635 e conservato alta Galleria Borghese Un'Intera sezione delia mostra con 23 opere è dedicata a ritratti e autoritratti dell'artista dellini di carrozze: allegorie del ere imbrigliato dalla saggezza, colo di propaganda, sfarzo da abliare i gonzi appena si varca la lia della città. Dal soglio pontifialla montatura (molto Wunderramer) per il dente di narvalo, pommo dire, parafrasando un cele titolo sul design: dal Tritone alle cchiere per Cristina di Svezia, mate come un giorno di mercato, vecchio Cronos sgambettante in toveste nel vuoto. E quasi lo vertiamo, vivo, Bernini, menprova e riprova come un giatore galileiano tecni e materiali. Persino interno di una pala in stra di Guidobaldo batini lo vediamo nare come una fu con quel suo blicitariamente mettere in scena soprattutto quella sua «guardatura» l»f<lsiN»8g»»MSlW i sai più propagandistici: si traveda David, ci sfida attraverso la tec'incatena con quella presa da hdalgo torvo. Genialmente, ha captra i primi, che la carta (l'immagincisa che divulga al mondo la seffige) è più duratura del bronl'immagine rimane, la materia perisce. E lo teorizza su un fronspizio, cosi come affida l'immagdel suo Colonnato di San Pietrodue Fame, che voleranno sull'Eupa. E quanti schizzi prima di licziare questi apparati: quasi un Clo Scarpa addestrato alla scuola Cavalier Marino. L'interesse alto della mostra csiste proprio nell'inseguire il prodere mentale quando si manife(disegni, terracotte, abbozzi) l'imaginario quando s'imbriglia neforma e rilutta a farsi pietra: emagnifico, nella sezione di confrto con il padre-scultore Pietro, der nascere, ipoteticamente, scpellata dopo scalpellata, la diropente zampata del genio bambiche già si voleva genio a otto anSi sporca le mani con la materiaaffonda le dita rabdomanti nella terracotta, si cimenta con la «carta pista» e con pennellate da spadaccino della somiglianz pian esposta 200 Museo di Palazzo Venezia INORtMOt ~ via del Plebiscito 18 DURAYAt dal 21 magalo al 1* settembre orario di apertura: mereoledì, giovedì • sabato 9-19 martedì, venerdì • domenica 9-22 lunedi chiuso RIOUtCTOs intero 12 mila lire, ridotto 8 mila si possono acquistare/ nella ricevitorie Sitai visito ouioayb 06.8412312. Si passano prenotare agli spartani Boi •ITO INTORNITI www.bnl.rt/mostrabernini.htm CATAiOGOi Skira l»f<lsiN»8g»»MSlW i