Il grand commis che sa dire «no» di Ugo Bertone
Il grand commis che sa dire «no» Il grand commis che sa dire «no» Torna a Roma il direttore del Wto per continuare la sua sfida globale Ugo Bertone MILANO Può parlare, con la stessa disinvoltura, inglese, russo, francese (com'è ovvio per un ambasciatore della vecchia scuola) o napoletano. E spesso la sua filosofia partenopea è tornata utile nelle grandi sessioni internazionali, soprattutto in quella grande università del consenso che è la World Trade Organization, quell'organizzazione mondiale del commercio che deve a Renato Ruggiero i passi fondamentali di una delicata fase d'avvio. Ma nessuno si faccia ingannare dall'apparente distacco di quel «grand commis» dello Stato, cento chili di stazza contenuti da saune alla russa e da tentativi costanti di dieta, che sta per approdare alla presidenza dell'Eni. E' un osso duro, in realtà, Renato Ruggiero da Napoli, classe 1930, laurea in legge nei 1953, in diplomazia dal '55, già direttore generale degli Affari Economici, ambasciatore alla Comunità Europea, segretario generale alla Farnesina. E poi, ancora, ministro del Commercio Estero con Goria, De Mita e Andreotti. Infine, prima di approdare all'incarico al Wto (ai tempi il più prestigioso per un italiano nel dopoguerra, superato solo dalla nomina di Prodi a Bruxelles), l'esperienza in Fiat, decisiva per d decollo delle attività polacche del gruppo. E' il curriculum di un primo della classe, all'apparenza destinato a salire solo sull'onda della propria naturale superiorità intellettuale. In realtà, l'ambasciatore Ruggiero ha dimostrato di saper combattere senza esclusione di colpi quando ha saputo mobilitare una sorta di lobby personale su scala mondiale (unico collante, competenza più simpatia) per approdare al Wto nonostante la freddezza, se non l'ostilità, degli Usa. Eppoi, in questi anni, Ruggiero non è certo andato in caccia di sostegni faciU alla sua carriera. Ha attaccato, con durezza sconosciuta, il provincialismo della stampa italiana. Ha denunciato, e correva l'anno 1997, l'Italia ufficiale di «baloccarsi con i falsi miti, Bossi e Di Pietro, per esempio, mentre nel mondo sta avvenendo una rivoluzione», scandita dall'ingresso di due miliardi di nuovi produttori e consumatori. Non si è tirato indietro nemmeno di fronte alla Chiesa, fredda di fronte al fenomeno della globalizzazioe. «Ma i vescovi - ha ammonito - non dovrebbero dimenticare mai che globalizzare vuol dire includere, accogliere tutti... Certe volte ho il sospetto che qualcuno sia meno interessato alla sorte dei bambini del Bangladesh che a tenere in vita aziende non competitive nei Paesi ricchi...». Un ambasciatore, insomma, che quando serve sa chiudere l'arte della diplomazia in un cassetto. Ma che gode del rispetto e della competenza necessaria (come dimenticare la sua pimi decennale dimestichezza con il mondo russo?) per accompagnare una delle poche, vere multinazionali italiane, l'Eni, in un momento estremamente delicato che prevede alcune novità decisive: l'impatto con il mercato dei capita 1 i (ormai i grandi fondi internazionali rappresentano il secondo azionista del cane a sei zampe), l'ingresso nella proprietà di Gazprom e di altre compagnie leader dei Paesi produttori. Un servitore dello Stato ma che, al momento giusto, ha sempre saputo dire di no.
Persone citate: Andreotti, Bossi, De Mita, Di Pietro, Goria, Prodi, Renato Ruggiero
Luoghi citati: Bangladesh, Bruxelles, Italia, Milano, Napoli, Roma, Usa
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