Milosevic nella tela di Cernomyrdin di Giuseppe Zaccaria

Milosevic nella tela di Cernomyrdin L'inviato russo: ii primo passo è far cessare i bombardamenti e ricondurre il problema alTOnu Milosevic nella tela di Cernomyrdin Belgrado possibilista: c'è speranza, nuovo incontro lunedì Giuseppe Zaccaria inviato a BELGRADO E' il momento della pace? Con un mezzo sorriso l'inviato russo Viktor Cernomyrdin, accolto a Belgrado dalla sirena dell'allarme antiaereo, risponde «Lo spero...». Di speranza tornerà a parlare qualche ora più tardi, dopo l'ennesima tornata di incontri al Castello Bianco e nonostante una sorta di «giallo» politico-militare alimentato dal suo portavoce. Valentin Sergeyév, collaboratore dell'inviato di Mosca, annuncia voci sul possibile bombardamento di luoghi molto, troppo vicini all'ambasciata russa di Belgrado. Il suo commento è sarcastico: «Non vorremmo che il ritiro della Russia dalle trattative diplomatiche fosse deciso in modo cosi radicale dal comando della Nato...». Ma sospetti a parte, questi nuovi lunghi incontri belgradesi fanno emergere una conferma essenziale: Slobodan Milosevic è pronto a concedere più di quanto abbia mai fatto. Sembra di capire che abbia confermato la disponiblità ad accettare i principi del G8 sui quali si erano espressi positivamente già martedì - per la prima volta m modo esplicito e sia pure per ora «in linea generale» - alcuni uomi ni dal suo entourage. Ma, ha dichiarato l'inviato russo alla fine dell'incontro, «la cosa più importante per il momento è fare cessare i bombardamenti e fare tornare il problema nella mani dell'Orni. E la Jugoslavia deve partecipare ai prossimi colloqui». Milosevic e Cernomyrdin hanno in programma di rivedersi a Belgrado lunedì o martedì prossimi, dopo che l'emissario di Mosca avrà svolto altre consultazioni con gli interlocutori occidentali sugli esiti del colloquio di ieri. DOtrmeST di ' bombardamenti hanno annientato la Jugoslavia, e se fino a ieri il collante dell'amor di patria rafforzava il regime adesso l'esasperazione dei serbi accende i primi fuochi di rivolta. La frustrazione dei cittadini comincia a rivolgesi contro il potere, rischia di eroderlo, sembra già anticipare il drammatico spaccato di una Jugoslavia postbellica dilaniata da una guerra civile. Non c'è tempo da perdere dunque, da nessuna delle due parti. Se Milosevic vuole conservare il potere questo per lui è il momento di cedere. Se la Nato vuole evitare l'intervento di truppe di terra ed il carnaio che ne deriverebbe, non può inseguire l'idea di una resa incondizionata. La ragnatela diplomatica che si continua a tessere da giorni punta sul peso di questi due fattori. Prima di volare a Belgrado, Cernomyrdin aveva discusso per dieci ore ad Helsinki col vicesegretario di Stato Strobe Talbott ed il presidente finlandese Marni Ahtisaari. Quest'ultimo aveva anticipato l'intenzione di recarsi a Belgrado solo quando le trattative fossero state vicine alla conclusione. Per il momento è rimasto ad Helsinki in attesa di incontrarsi ancora domani con gli interlocutori rus¬ so ed americano, per tirare le somme e stabilire se si può andare avanti con posso più deciso. Dalla vicina Macedonia, dove si trova in visita, il segretario generale dell'Orni Khofi Annan ripete: «Tutte le parti in gioco ritengono che le Nazioni Unite debbano svolgere un ruolo centrale nella soluzione di questa crisi». I segnali paiono convergere, insomma. L'inizio della pace, però, dipende da come sarà accettata e interpretata la prima clausola del famoso documento «G8». In altre parole, da come si pensa di attuare 1'«immediata e verificabile fine delle violenze e della repressione». A giudizio della Nato (fonti inglesi e statunitensi, soprattutto) senza un ritiro massiccio delle truppe serbe dal Kosovo questa condizione non sarebbe esaudita. Si disegnano già le direttrici di questo movimento, se ne prevedono i tempi (sette giorni) ma nel frattempo non si accenna neppure ad una sospensione dei bombardamenti. Milosevic ribatte che senza questa assicurazione mai le sue truppe si esporranno ad attacchi che potrebbero distruggerle, consentendo alla Nato di rag¬ giungere in pochi giorni l'obiettivo mancato per due mesi. Altro, fondamentale elemento per la Serbia è che nello stesso tempo la Nato inizi a ritirare dai confini jugoslavi parte delle sue forze. Il nocciolo duro della trattativa rimane questo. Tutta da discutere, piuttosto, è l'idea americana di affiancare a un contingente dotato di armamento leggero un nucleo più potente, at¬ trezzato come esercito vero e proprio. Se però questa guerra dovesse continuare a lungo, presto le Nazioni Unite sarebbero costrette a spedire un altro contingente in territorio serbo, tanto drammatiche cominciano a farsi le tensioni interne. Ieri per la seconda volta in poche ore una banda di teppisti ha attaccato la sede del «Partito de- mocratico» di Zoran Djindjic. Il presidente del partito è sempre all'estero, continua i suoi giri diplomatici col presidente del Montenegro incassando per questo l'accusa di tradimento. Ieri i «teppisti» che hanno attaccato la sede sono arrivati sul viale della Proletershy Brigata a bordo di «Mercedes» e «Bmw», erano tutti rasati e vestiti di pelle nera. Prima hanno lanciato sassi, poi uova: infine hanno trovato il supporto di un altro gruppo, giunto più prosaicamente in autobus, che ha proseguito lanci e cori d'insulti. Il gruppo di Djindjic non ha dubbi sulla paternità dell'attacco: lo attribuisce alla «Jul», il partito di Mirjana Markovic e dice che «il regime è pronto anche ad incitare alla guerra civile pur di conservare ad ogni costo il potere. Dopo l'accettazione delle richieste sul Kosovo esso è pronto a scatenare una guerra civile e ad instaurare una dittatura aperta». Anche il leader dei socialdemocratici, l'ex generale Vuk Obradovic, finisce nel mirino dei nazionalisti. Un'organizazione di ufficiali della riserva oggi lo definisce «modello di ambizione malata», un «uomo minore pronto ad accettare una vergognosa capitolazione del proprio popolo». Lui risponde: «Nonostante minacce sempre più gravi io non ho paura: non farò nulla che possa danneggiare gli interessi della Serbia, ma sono pronto a battermi per tutto ciò che possa evitare al Paese una nuova tragedia». Annan in Macedonia: «Unte le parti in gioco ritengono che l'Orni debba svolgere un ruolo centrale nella soluzione di questa crisi». Il nodo resta la composizione del contingente di pace Il mediatore russo Cernomyrdin ieri con Milosevic. A sinistra il premier finlandese Marni Ahtisaari con l'inviato Usa Talbott Sotto, soldati ed elicotteri americani in Macedonia