Cannes turbata da uno stupro

Cannes turbata da uno stupro Erotismo esplicito e violenza: Bruno Dumont provoca il pubblico con il crudo «L'Humanite» Cannes turbata da uno stupro Choc per il sesso d'una bimba in primo piario Lietta Tornabuonl Inviata a CANNES All'inizio de «L'Humanite» di Bruno Dumont c'è disteso su un prato il corpo bianco d'una bambina di undici anni violata e uccisa, c'è in primo piano il suo Beano aperto, orlato di sangue, impolverato e percorso da insetti. Alla fine c'è il corpo disteso sul letto d'una ragazza che piange, c'è in primo piano il suo sesso dischiuso, d pube bruno truccato e infoltito in modo da somigliare a un'opera d'arte, «L'orìgine del mondo» di Courbet. Tra il principio e la conclusione ci sono tre scene di coito molto realistiche e affannose, in cui la giovane coppia nuda fa e rifa l'amore come se si accanisse a cercare qualcosa senza mai trovarla. Immagini violente che hanno urtato o turbato gli spettatori: «Io non ne ho paura», dice il regista quarantenne nato a Raillon] nelle Fiandre, cittadina dove aveva già ambientato il suo primo film molto bello «L'età inquieta» c dove si svolge questa seconda opera. «Voglio poter mostrare l'orrore in tutta la sua crudezza; e anche l'atto sessuale in tutta la sua primitiva voracità c urgenza, senza intellettualismi né sentimentalismi. Tornare al corpo umano, che nella vita è l'essenziale, rimane l'unico modo per sfuggire all'irrealtà, all'alienazione perbenista». Il protagonista dell'«Hu- manité» Emmanuel Schotté, un poliziotto che si chiama Pharaon de Winter come il pittore realista nordico inizio secolo (è un segno di quanto la pittura sia decisiva nel lavoro del regista) deve indagare sullo stupro e l'assassinio della bambina. Lo fa secondo la sua natura, che è quella d'un uomo lento, laconico, compassionevole, ferito dalla perdita recente della moglie e del figlio, mite e buono, capace di commuoversi e piangere di fronte a fatti orrìbili, capace di comunicare soprattutto col corpo (geme, urla, si getta bocconi sulla terra arata quasi possedendola, nei momenti di dolore tocca, abbraccia e bacia chi gli sta vicino, uomo o donna che sia), capace di seguitare ad amare una ragazza che ha un altro amante. Questo amante confessa d'essere autore del crimine, ma alla fine sembra d'intravedere il poliziotto con le manette ai polsi, quasi fosse lui il colpevole, o avesse preso su di sé la colpa dell'assassino, le colpe dell umanità: «Non intendo fornire spiegazioni, c'è un mistero, voglio lasciare la conclusione ali immaginazione degli spettatori», dice Bruno Dumont credendo di fare il furbo. Al di là delle provocazioni o dei discorsi velleitario-mistichéggianti del regista, al di là d'una certa sconnessione, «L'Humanite» è un film singolare, girato con grande sapienza in un linguaggio assai nuovo, sugge¬ stivo. «Cradle Will Rock» di Tim Robbins è invece convenzionale, piuttosto divertente, un poco affettato e confuso nell attingere alla storia degli Anni Trenta americani della Grande Depressione e delle iniziative governative anti-disoccupazione anche nelle arti. Si vedono nel 1936 Margherita Sarfatti (Susan Sarandon), amante, biografa e inviata culturale di Mussolini negli Stati Uniti, improbabilmente pronta a regalare opere di Leonardo da Vinci agli industriali americani dell'acciaio; Nelson Rockfeller (John Cusack) che commissiona un immenso murai a Diego Rivera (Ruben Biadasi, lo paga e poi lo fa distruggere perchè è troppo di sinistra; Bertolt Brecht che dà consigli a un commediografo; un istrionico e isterico Orson Welles (Angus MacFadyen) che intende mettere in scena un musical contro la repressione dei sindacati e che non ci riesce per intervento censorio governativo. Si vedono la nascita della pittura astratta, immaginata come un complotto del capitalismo di destra; Vanessa Redgrave come una contessa snob, «preziosa ridicola» oscillante fra arte popolare e miliardi famigliari; una commissione parlamentare sulle attività antiamericane già identica a quella MeCartny degli anni successivi. Insomma, Tim Robbins cerca di resuscitare l'unico momento americano di una cultura sovvenzionata dallo Stato voluta da Roosevelt, di un'arte politica e sociale nell'estrema miseria e disoccupazione del periodo, d'un antifascismo minoritario tra gli italiani d'America, rappresentato da John Turturro; e con affetto, con spirito, prende anche in giro le ingenuità americane nell'esercizio della cultura propagandistica. Tutto bene: ma sembra di leggere una rubrica mondana fitta di nomi appena citati, oppure di vedere uno di quegli sceneggiati televisivi nei quali i nomi celebri scivolano tra il fruscio dei ventagli («come va, Voltaire? Ha caldo, generale Garibaldi? Ammiraglio Nelson, un bicchiere di vino? »). Il regista francese racconta le indagini di un poliziottoche sprofonda nell'orrore E Tim Robbins si diverte con una storia ambientata negli anni della Depressione | I Qui a destra. Bruno Dumont; sotto, Tim Robbins, regista di «Cradle Will Rock», con Susan Sarandon (a destra) e Emily Watson

Luoghi citati: America, Cannes, Stati Uniti