Tour in Albania: guerra giusta

Tour in Albania: guerra giusta Tour in Albania: guerra giusto Tour in Albania: guerra giusta Vincenzo Testandoti Inviato a TIRANA 0 primo ministro britannico non usa mezzi termini. «La nostra è una causa giusta e continueremo così perché non si vede altra via», dice con voce ferma alla piccola folla davanti alla presidenza del Consiglio, in Deshmoret e Kombit, il viaIone che taglia Tirana e che è addobbato da dozzine di Union Jack, la bandiera britannica, dipinte a mano il giorno della vigilia: cortesia, questa, capace di suscitare invidia tra le dozzine di politici, non solo italiani, saliti a queste latitudini. Ma Tony Blair sa quali argomenti siano graditi e, del resto, sono i suoi: la guerra continua, promette, finché Belgrado non cede. All'aeroporto di Rinas, al campo turco di Elbasan e sulla gradinata della presidenza del Consigi io, ripete che «la nostra causa è giusta». Ha abbandonato la camicia azzurra stazzonata esibita in Macedonia dove riscosse un successo straordinario: ora indossa un sobrio vestito scuro, camicia celeste, cravatta bordeaux fantasia. Ma a Elbasan non ha rinunciato al casual: polo amaranto e jeans scuri. E la gente ha apprezzato. Dice: «L'Europa ha visto la politica della pulizia etnica, la gente scaraventata fuori dalle proprie case con la forza delle armi, abbiamo visto scene di terrore e di omicidi. Vi dico che queste cose in Europa non devono accadere». Non esistono appetiti inconfessabili, nessuno vuol conquistare nulla, aggiunge: «La Nato fa questa guerra non per ottenere territori ma per difendere i valori della civiltà occidentale e per la democrazia. Io, per il futuro, ho una visione: che il popolo del Kosovo abbia il diritto di ritornare a casa sua, in pace e in sicurezza. Questa è la nostra causa, ed essa è giusta». La gente lo ascolta con gli occhi lucidi e un applauso accoglie poche parole suonate come una promessa solenne: «Facciamo di tutto, per vincere». Insomma, il lavoro diplomatico, i dubbi che paiono togliere determinazione ad alleati importanti come la Germania e l'Italia, non sembrano essere presi in considerazione seria. «Slobodan Milosevic deve ritirare le sue truppe dal Kosovo e lasciare entrare la forza internazionale che dovrà garantire il ritomo dei profughi: è una cosa, questa, che dovrà fare. Orami, lui e la sua politica appartengono al passato, noi siamo il futuro». Giornata intensa, dunque, per il premier britannico che ha trovato d tempo per un incontro pure con loro, assicurano in un comunicato quelli del governo provvisorio del Kosovo, l'ala che fa capo ad Hashim Thaci. Presenti Jakup Krasniqi, portavoce ed eminenza grigia; Xhavit Haviti, rappresentante in Albania, Bilall Sherifi, consigliere politico di Thaci. Questa è una guerra che «si può e si deve vincere», avrebbero detto i rappresentanti del governo k oso varo in esilio a mister Blair e gli strumenti per arrivare al successo sono semplici: armi all'Uck, invasione Nato. Il premier avrebbe raccomandato la concordia: «Dovete parlare con una sola voce». Quindi si sarebbe richiamato a Rombouillet. Mentre Tirana viveva questa giornata «politica» alle frontiere del Nord proseguivano le schermaglie, stavolta, riferiscono «testimoni oculari», anche con l'impiego di mortai serbi e carri armati albanesi. I carri, usciti dalla città di Kmma, sarebbero stati accolti dal fuoco serbo partito dalla Vetta Nera, una collina in territorio albanese occupata da giorni dai soldati di Belgrado. Uno scontro terminato senza morti o feriti né danni.

Persone citate: Hashim Thaci, Jakup Krasniqi, Sherifi, Slobodan Milosevic, Thaci, Tony Blair