Genova, l' ultima sconfitta è il caldo

Genova, l' ultima sconfitta è il caldo IL GIORNO DOPO LA RETRÓCESS Genova, l' ultima sconfitta è il caldo Anche la Samp in B, finisce un ciclo di successi reportage Pino Corrlas Inviato a GENOVA AVVERO una città capovolta, in questo giorno speciale di caduta sampdoriana, compreso il colpo d'occhio: pioggia a scrosci e vento autunnale à dispetto del calendario e freddo sul mare grigio di burrasca che inghiotte tutto l'orizzonte in una sola linoa d'ombra fino ai nuvoloni che danzano sulle alture delle periferie disoccupate. Trenta ore fa la vecchia (e gloriosa) Samp ha perso tutto e quel che si è visto, tra i vicoli e nell'ampia via XX Settembre e tra i lampioni opachi di piazza De Ferrari era la gioia di mezza città, quella rossoblu dei genoani, che danzavano in tondo gridando diverse facezie, ma una specialmente: «Benvenuti in serie Bl». Sarà pure un caso, ma quando monsignor Tettamanzi cercò una buona definizione della sua città gliene venne in mente una davvero fulminante: «11 Sud del Nord», per dirne non solo la crisi (economica) e la lentezza (di vita) e l'implosione (industriale) ma anche questo sua spiccata attitudine al rovesciamento. E a lasciarsi raccontare dai paradossi. Eccoci per esempio in piazza Campetto tra un giornalaio, due bar, vari venditori di ombrelli, passanti con chiacchiera lenta di marina, pro- Erio di fronte alla sede dei lucerchiati. Sai che da tutto il giorno il fax della società macina proteste, lacrime, insulti, risentimenti. Roba anche dura, roba da tifosi feriti e addirittura sanguinanti. Ma quando infine parli con il direttore generale della medesima Sampdoria, il dottor Sai varezza, ti sembra di cascare nel mondo capovolto di Alice. Allora com'è l'umore? «Buono», dice lui. Buono in che senso? «Che non vale la pena parlarne. E io non ne parlerò». Non vale in che senso? «Che tanto abbiamo sempre torto noi». Torto in che senso? E alla terza finalmente Salvarezza ci motte un po' di adrenalina: «Ma scusi lo sappiamo anche noi che non siamo andati bene. E cosa dovremmo fare, chiudere?». Se prova a chiederlo ai tifosi, magari le dicono di sì. «E invoco no! Non si chiude un'azienda se va male un anno». Un anno? Sono parecchi. «Ho dotto che non parlo», dice l'affilato Salvarezza. E nella foga inciampa: «E' da un unno che non ho rapporti orali con i giornalisti» dico. Poi Soffia e si affretta: «Che non faccio interviste, voglio diro». Così per tutto il giorno la società so ne sta asserraglintn noi palazzotto promettendo comunicati con chissà quali rivelazioni por poi farne scivolare uno soltanto (o breve) di «rammarico» o «rinnovato impegno». Ma a leggerlo bene, capovolto anche lui. Proprio l'accusa della tifoseria alla società e al suo presidente l'Enrico Mantovani (essersi venduto tuttu l'argenteria di polpacci in questi anni di declino) vien gabellata nel suo contrario: «La squudra verrà completamente rinnovata», dico l'inchiostro. Sarebbe u dire che puniranno per altri lidi l'amatissimo Montella (già ceduto alla Roma), Ortega (destinazione Inghilterra) Ligie (Paris Saint Germain o Liverpool). Più un altro paio di addii ancora incerti, quelli di Ferron e Franceschetli. Ma se i propositi del presidente Mantovani coincidono (in definitiva) con un dispetto ai tifosi, ecco che i tifosi lo ripagano con l'identica moneta. Giusto un paio di mesi fa Paolo Villaggio diceva: «Mantovani? Lo detesto, mi detesta. Se il suo disegno è scendere in B per guadagnare miliardi con le cessioni di Montella e Ortega, complimenti, è un piano perfetto». Ecco fatto. E abbondantemente commentato dagli striscioni allo stadio: «Vergognatevi tutti», e poi: «Enrico sei come Silvan, ci fui scomparire», e poi «Meglio un bambino viziato che un presidente abelinato». Chiaro che al giovane Enri- co rimproverano tutto. Raccontandoti l'eterna storia del figlio schiacciato da un grande padre. Il vecchio Paolo Mantovani che fece tutto dal nulla, petrolio (prima di tutto) e poi anche la grande Samp, quella di Vinili e Mancini che conquistò lo scudetto nel '91, sfiorò nel '92 la Coppa Campioni (pianti e mestizia al cospetto del Barcellona), acchiappò la Coppa Italia nel '94 e comunque scintillava con i suoi diamanti oggi sparpagliati nella più ostinata e controproducente diaspora che il calcio ricordi: Pagliuca, Lombardo, Vierchowod, Mihajlovic, Jugovic, Chiesa, oltre a Vinili e Mancini, tutti messi sul treno, bye bye, proprio come fanno tanti genovesi che mettono radici altrove (a Milano per esempio) e della patria ti parlano con perpetuo lamento. Come fossero ancora qui. L'unico che fa eccezione, in queste ore, è il sindaco Giuseppe Pericu che ha due buoni assi: non è genovese, ma sardo, non tifa Sampdoria, ma Juve. «Ho sentito dire: ecco le squadre che si merita una città di serie B. Non ci sto. La città sta rinascendo, magari siamo ancora a metà classifica, però i segnali di una svolta ci sono eccome». Elenca: «Elettronica, cantieristica, biotecnologie, turismo, tutti comparti in ascesa, senza parlare del porto che in pochi anni ha quadruplicato le sue attività, da 300 mila a 1 milione e 300 mila container». E il turismo, con un milione e mezzo di visistatori l'anno. Non nega che Genova resti una delle città più pensionate d'Italia (un abitante su tre), che la natalità sia tra le più basse, che la disoccupazione sia sopra la media nazionale (12 per cento), che ci siano problemi di viabilità, microcriminalità, insofferenza al nuovo e «propensione a chiudersi in se stessa». Non nega, il sindaco, ma ci trova lo spiraglio, il raggio di sole: «Siamo in piena riconversione, a metà del guado, e stavolta la nuova riva si vede già». Aggiunge: «Per questo il declino della Sampdoria ci arriva proprio quando non ci voleva. Una grande squadra è sempre un buon biglietto da visita e ne avevamo bisogno. Peccato». Peccato perché sotto a tanta pioggia un po' di bagliori calcistici avrebbero pur giovato. Anche per raddrizzare questo suo starsene capovolta, come dice Massimiliano Bagnasco, sampdorìano, nonché collaboratore del ministro Treu: «Genova, che non si schioda dai suoi conformismi d'assistenzialismo, che rimpiange sempre il vecchio e non si appassiona mai al nuovo. Che magari costruisce una grandissima impresa, come la Costa Crociere, e poi la vende agli americani. C'era una grande squadra? Disfatta. E oggi guardi lo spettacolo: un po di tristezza, magari della stupida violenza, ma una fetta di città che se la gode». Misteri solo per chi è abituato a guardar dritto, incomprensibile solo per chi non -respira Genova. Ha davvero ragione Stefano Azzali, brillante avvocato a Milano, ma perdutamente genoano a Genova, quando dice: «Siamo fatti così. 11 bello di questa storia è la festa dei rossoblu. Non mi chieda di spiegarglielo, non capirebbe. E' da 17 anni che aspettavamo questo momento: benvenuti in serie B». Il sindaco: «Avevamo bisogno di un bel biglietto di visita» La festa dei genoani I tifòsi accusano «Ceduti troppi assi» E la società annuncia «Pronti a rinnovare» LE DUE GENOVESI IN CIFRE DENOMINAZIONE SAMPDORIA UNIONE CALCIO Spa Ì946 CRICKET TONDAZIONE (fusione di Andrea Do ria .., eSampierdaronese) fUESKtflpl.;. Enrico MÉrtoyijhl ludairto Spaffo éitlM Stadio Luigi Ferraris maglia blu fasciata di bianco maglia a aitarti rossoblu con striscia rossonera e calzoncini blu con bordi rossi stemma di Genova al centro, calzettoni rossoblu calzoncini bianchi CAMPO DI GIOCO COLORI SOCIALI catzettoni a righc orizzontali biancheeblu PRIMOCAMPIOHATO IM7 10* 18981° PRIMA RETROCESSION 1966 1934 ULTIMA RETROCESSION 1999 1991 KUDETn 1 (1991) " '""7(189e7lWl90a"l90i" 1903,1904,1915) COPPEITAUA 4 (1985,1988,1989.1994) 1 (1937) SUPERCOPPAITAUANA 1(1991) COPPA DELLE COPPE' 1 (1990) TlfOSIVIP Fabio Fazio, Paolo V:llaggio, Angela Cavagna. Gino Paoli, Renzo Piano, Emanuele Francesco Bacdnl, Claudlo Luzzati, Valentino Rossi, Buriando e Alfredo Biondi Franco Malerbae Maurlzio Maggianl CLUB NEL MONDO (1997) 105 121 Il momento più felice delia storia sampdor/ana: la festa in piazza De Ferrari per la conquista dello scudetto, nel '91. In basso, due tifosi illustri delle squadre genovesi: Fabio Fazio (Sampdoria) e Francesco Baccini (Genoa)