«Nato, preparati all' inferno»

«Nato, preparati all' inferno» DELLA SERBIA «Nato, preparati all' inferno» Da Belgrado minacce ma anche timidi segnali reportage Zaccaria BELGRADO SCORTATA da tutti i mezzi possibili, incoraggiata da Javier Solana ma teoricamente esposta ad un altro «errore» della Nato, la missione dell'Onu approdata ieri in Jugoslavia inizia questa mattina la missione con destinazione Kosovo. Vi resterà per due giorni e mezzo, con un compito vago almeno quanto le prospettive di pace di questi ultimi giorni. Formalmente, più che esplorare le condizioni per un cessate il fuoco i tredici inviati dello Nazioni Unite vanno a verificare le conseguenze dei bombardamenti, lo stato della gente che da rinani due mesi sopravvive a «pulizie» etniche e tecnologiche. Sergio Vieira de Meliti, vice segretario per le questioni umanitarie e capo della delegazione, parla di una missione che non è politica ma si svolge in un clima molto politicizzato. Un «viaggio di speranza», insomma: l'Onu è «molto preoccupata per le condizioni dei civili, non solo in Kosovo ma anche in altre parti del Paese, non solo dei profughi di questa guerra ma anche di quelli della Kraiina e di Bosnia», cioè dei 960 mila rifugiati serbi. La delegazione vuole capire cosa si può fare a breve termine e cosa nel lungo periodo «per accertare la situazione di questa gente e preparare le condizioni per un suo rientro a casa prima dell'inverno». A Vieira de Mollo spetta solo il compito «di fornire un quadro autentico al segretario generale dell'Onu, al Consiglio di sicurezza e ad altri». Missione im- Krtante come non mai visto nprowiso riemergere di piani, come quello dell'attacco di terra. Il ministro inglese della Difesa, Robin Cook, torna a parlare di invasione della Jugoslavia come scelta ormai incombente proprio mentre gli esperti militari calcolano in 50 mda uomini - (masi il doppio di quanto gli strateghi Nato avessero valutato all'inizio della guerra - la forza necessaria per una simile impresa. Il comandante dell'Armata del Kosovo risponde: «Venite pure: sarà un'ecatombe». Per interpretare gli avvenimenti di questi giorni, l'unica chiave consiste nell'ipotizzare un gioco diplomatico a due livelli. Da un lato, sono sempre più numerose le fonti serbe che giudicano vicino l'accordo di pace, disegnano un Milosevic pronto a cedere alle condizioni non della Nato ma del «G8». Dall'altro, ogni nuova minaccia occidentale trova un esponente serbo pronto a ribattere a tono. E' il caso del generale Nebojsa Pavkovic, comandante la Terza Annata di Nis, un ufficiale che fino ad oggi è riuscito a proteggere il suo esercito dalle incursioni Nato con una tattica molto simile alla guerriglia. Adesso tocca a lui affidare ài settimanale «Svedok» un avvertimento. «La Nato - dice - non può pensare di entrare nel nostro Paese senza subire enormi perdite». Pavkovic parla di circostanze piuttosto concrete: «L'invasione del Kosovo - dice - era stata programmata sui presupposti di un appoggio da parte dell'Uck e di una sollevazione dogli albanesi contro di noi. Abbiamo distrutto l'Uck quando la Nato ha cominciato la sua avventura e adesso i confini del Paese sono ben protetti». Alla sollevazione degli albanesi l'ufficiale non dedica neanche un commento: in Kosovo dev'essere rimasta davvero poca gente in grado di ribellarsi. Mutate cosi profondamente le promesse tattiche, i soldati Nato, insiste il generale, «devono sapere che qui li aspetta l'inferno: esercito e popolo serbi sono pronti a difendersi a qualsiasi prezzo, e per i soldati dell'Occidente quel prezzo sarà troppo alto. Noi subiremmo delle perdite, questo è certo, ma loro morirebbero di una morte terribile: sono tecnologicamen¬ te più forti, ma questo finora non li ha aiutati. Non hanno le qualità dei nostri uomini, non la decisione né il morale per una lunghissima teoria di scontri faccia a faccia». E' la tesi del «Vietnam europeo», già ventilata da politologi ed esperti militari prima che questa guerra avesse inizio. Ma la convinzione di fondo dei serbi è che nessuno sarà cosi folle da imbarcarsi in una simile avventura. I commentatori politici del Paese prevedono che Milosevic, dopo un'altra tornata di incontri e schermaglie, sarà pronto ad accettare le condizioni imposte dall'Onu. Uno dogli uomini a lui più vicini, il miliardario Bogoljub Karic, prevede che «la Nato bombarderà ancora per una decina di giorni, poi l'iniziativa di Viktor Cernomyi din prenderà il sopravvento». Goran Matic, ministro senza portafoglio, dice invece che la Russia ha deluso i serbi e che in questa crisi ha seguito solo il proprio interesse. Ma a risultare di maggior interesse oggi è l'idea di fondo della diplomazia serba. A Belgrado pensano che so la guerra si fermasse oggi, sia la Nato che Milosevic potrebbero sostenere di aver vinto. L'una, per averlo piegato ad accettare una forza annata sia pure sotto le insegne dell'Onu. L'altro per aver respinto il «diktat» dell occupazione militare da pane della Nato.