Bombe in Adriatico, la Nato si scusa

Bombe in Adriatico, la Nato si scusa Bombe in Adriatico, la Nato si scusa Ipescatori: «Non vogliamo una nuova Cermis» BRUXELLES. Per bocca di Jamie Shea la Nato ha ammesso ieri di non aver trasmesso al governo italiano le informazioni sullo scarico di ordigni bellici nell'Adriatico. Le spiegazioni del portavoce dell'Alleanza hanno allentato la tensione, e la presidenza del Consiglio ha espresso la propria soddisfazione. Ma gli strascichi polemici restano. Rilevando che le ammissioni di Shea «dimostrano come la reazione dell'Italia fosse ampiamente giustificata», il ministro degli Esteri Lamberto Dini ha detto che «troppo spesso questo portavoce ha dovuto rimangiarsi le sue dichiarazioni». E soprattutto sono i pescatori dell'Adriatico a non considerare chiuso l'argomento. Le informazioni sullo scarico in mare delle bombe, ha detto Shea, «sono state senza dubbio fornite» agli organismi militari ma, «sulla base di quanto sappiamo oggi, capisco che queste informazioni non sono state date al governo italiano». Ora, però, «i comandi militari stanno facendo ogni sforzo per condurre una piena indagine su ogni episodio in cui queste munizioni devono essere scaricate, esclusivamente per ragioni di sicurezza, e l'Alleanza farà di tutto affinché il governo italiano abbia un quadro completo di quanto accade», ha detto Shea. Così da Bari, dove Massimo D'Alema ha incontrato ieri il Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, i portavoce del premier hanno comunicato la soddisfazione del governo. Le «aree di rilascio» scelte dalle autorità militari in Adriatico sono sei ed hanno un diametro pari a 10 miglia nautiche (18 chilometri). In quella più a Nord, tra Chioggia e la città croata di Parenzo i pescatori veneti hanno di recente rinvenuto le «bombe a frammentazione». La seconda area, scendendo verso Sud, si trova tra Rimini e Lussino; la terza tra Pesaro e Zara; le altre si trovano tra Bari e Durazzo; tra Brindisi e Pojah e tra Santa Maria di Leuca e Corfù. Il fatto è che i piloti di ritorno dalle missioni sono obbligati a sganciare in mare gli ordigni in caso di atterraggio d'emergenza per guasti o danni da combattimento; o se rientrano con un carico «a rischio», o quando l'aereo è a corto di carburante. In questi casi i piloti non possono avvicinarsi alle basi, tutte in territorio italiano, senza aver prima sganciato le bombe. Le spiegazioni però sono state giudicate «tardive, parziali e insufficienti» dalle associazioni dei pescatori (Federpesca, Lega pesca e Aicp). Le tre organizzazioni, in un documento in nove punti, ribadiscono che il governo e la Nato «devono accettare i costi, anche se non previsti, della guerra nei Balcani». E chiedono misure per rimediare al «fermo bellico» dei pescherecci, che secondo le loro stime provoca perdite mensili del 20% (dai due ai 14 milioni a settimana per battello, a seconda del tipo di pesca praticata). «Il Parla¬ mento non deve comportarsi come quello Usa di fronte alla tragedia del Cermis», afferma il documento, in cui si chiede un incontro urgente con Massimo D'Alema e la convocazione straordinaria della Commissione Agricoltura del Senato, per sbloccare un emendamento che prevede un fondo di 50 miliardi per il settore. «Vogliamo sapere dove possiamo pescare senza rischi», dicono i pescatori che, a Chioggia, neanche stanotte sono usciti in mare. Su questa scena è atteso oggi il leader della Lega Umberto Bossi, che dovrebbe incontrare anche i due pescatori feriti da una bomba: Gino Ballarin e Vanni Bellemo. Il ministro per le Risorse agricole Paolo De Castro, impegnato da ieri a Bruxelles nel Consiglio dei ministri agricoli dell'Unione europea, ha detto che il governo sta studiando «alcune ipotesi d'intervento», ed ha promesso che la questione verrà affrontata anche in ambito comunitario. [f. sq.)

Persone citate: D'alema, Gerhard Schroeder, Gino Ballarin, Jamie Shea, Lamberto Dini, Massimo D'alema, Paolo De Castro, Parenzo, Umberto Bossi, Vanni Bellemo