«Caro premier, ecco il prontuario per cancellare l'era Netanyahu»

«Caro premier, ecco il prontuario per cancellare l'era Netanyahu» LO SCRITTORE YEOSHUA E I NUOVI SCENARI POLITICI «Caro premier, ecco il prontuario per cancellare l'era Netanyahu» intervento A. B. Yeosiiua GERUSALEMME MAI elezioni politiche in Israele si sono incentrate tanto su un capo di governo quanto quelle attuali sulla personalità e la condotta di Benyamin Netanyahu. Non gli accordi definitivi di pace con i palestinesi, né la tensione tra laici e religiosi, e nemmeno i rapporti tra «sefarditi)) e «ashkenaziti» hanno infiammato la campagna elettorale bensì la problematica personalità del primo ministro. Talvolta si ha l'impressione di non avere unicamente a che fare con un politico cinico dalla personalità instabili; e dall'innato talento per inganni e raggiri, ma con una sorta di crudele Caligola o di un corrotto Nerone che, dopo aver assunto il controllo di Israele, ne ha contaminato l'anima al punto che la sua destituzione viene considerata ila molti come un sacro dovere. Tra i sostenitori della sinistra e i progressisti si 6 registrata ima mobilitazione senza precedenti per queste elezioni, laddove il rancore v. il dissenso sono rivolti verso il capo del governo e non verso il partito del Likud. l'aradossulmente, è possibile ravvisare un senso di pietà verso i rappresentanti di quel partito e del «polo nazionalista», costretti, per motivi ideologici, a votare Netanyahu, malgrado la repulsione nei suoi confronti. Tuttavia, per onestà, occorre ammettere che Yitzhak Shamir, il precedente primo ministro del Likud, palesò posizioni assai più estremistiche nei confronti dei palestinesi di quelle di Netanyahu, mantenendo un'opposizione intransigente a qualsiasi soluzione di compromesso; una linea politica che condusse Israele all'Intifada. Nel 1982 Menahem Bcgin trascinò lo Stato ebraico nella sciagurata avventura della guerra del Libano, una vicenda per la quale ancora oggi paghiamo le conseguenze. A (ioldn Meir, «falco» per eccellenza, è possibile imputare gran parte della responsabilità della tragedia dello Yom Kippur. Ep¬ pure nessuno di loro, persino dopo la dimostrazione inconfutabile dei loro errori, raggiunse i livelli di avversione che suscita Benyamin Netanyahu presso settori così vasti della popolazione. Mai vennero scritti contro di loro articoli tanto avvelenati e violenti quanto quelli pubblicati nel corso degli ultimi tre anni contro il primo ministro e mai come ora tanti israeliani si sono risolti a rimandare le vacanze o ad annullare ogni impegno all'estero pur di essere presenti il giorno delle elezioni e contribuirò così ad un avvicendamento ai vertici del potere. Non pochi ritengono che una rielezione di Netanyahu rappresenterebbe l'inizio di un processo di alienazione profonda dallo Stato da parte di numerose élites e un possibile sgretolamento dell'identità israeliana. Ritengo che tutti i candidati alla Knesset e alla carica di primo ministro, di qualsiasi schieramento politico essi siano, debbano già da ora prendere in considerazione tre punti fondamentali per il dopo elezioni. 1). Il prossimo governo d'Israele dovrà essere costituito da una coalizione molto ampia che comprenda almeno due terzi delle forzo politiche presenti nella Knesset, goda di fiducia e possa così raggiungere un accordo di pace definitivo con i palestinesi, fissando una volta per tutte i confini dello Stato ebraico. Solo un governo stabile, sostenuto da un ampio consenso popolare, potrà tentare di raggiungere un'auspicata, per quanto complessa, pace con la Siria, di ritirare l'esercito dal Libano e di fronteggiare con fermezza le conseguenze di decisioni ardue, drastiche ma inevitabili quali lo smantellamento degli insediamenti nei territori occupati. Anche i più acerrimi nemici dell'attuale primo ministro devono rendersi conto che, in veste di leader del Likud rimane un eventuale partner nel prossimo esecutivo. Quindi non va demonizzato, delegittimizzato né tantomeno considerato indegno di far parte di una coalizione di governo. E' nostro compito ricordare un concetto fondamentale: mentre altre nazioni hanno raggiunto la democrazia dopo anni di governi totalitari e accentratori, il popolo ebraico conserva il retaggio della diaspora in cui ogni comunità era governata secondo regole diverse. Dunque il pericolo che corre Israele non è quello di un eccessivo autoritarismo bensì quello dell'anarchia. E poiché è impossibile continuare a sperare nella comparsa di un leader in grado di accomunare il popolo (in un periodo in cui tali leaders divengono sempre più rari) è necessario fare appello alla saggezza, alla pazienza e alla volontà di compromesso delle varie forze poli- tiche affinché queste creino una struttura unificatrice. 2) . Dopo le elezioni Israele dovrà cercare di guarire la vera ferita di cui soffre. Non si tratta della frattura tra religiosi e laici, tra «sefarditi» e «ashkenaziti», tra nuovi immigrati e vecchi residenti, né tantomeno tra maggioranza ebraica e minoranza araba. Queste sono solo coperture che la destra, la sinistra, i laici, i religiosi e altri elementi di parte utilizzano per mimetizzare lo squarcio profondo e autentico presente nella società israeliana: il divario economico che cresce a dismisura tra gli abbienti, arricchitisi anche grazie ai privilegi concessi loro dalla politica governativa, e i poveri, la cui situazione va peggiorando. Il divario economico e la rinuncia alla solidarietà relegano Israele in una posizione di disonore tra gli Stati democratici, industrializzati e progrediti. E' questo il tema che dovrebbe essere all'ordine del giorno di tutti i partiti. Anziché preoccuparsi in maniera eccessiva di «matrimoni civili», di insediamenti nel Golan, della presenza ebraica a Hebron, degli studi di ebraismo nelle scuole o delle terre confiscate nei villaggi arabi, la società, per mezzo dei propri rappresentanti, dovrebbe occuparsi della questione più pressante: come risolvere l'iniquo baratro economico venutosi a creare in una nazione i cui inizi storici si fondavano su principi socialisti. 3) . La personalità problematica di Bibi Netanyahu, così come si è rivelata durante i tre anni del suo governo, non è un incidente di percorso della politica israeliana. Il modo in cui è riuscito a manipolare i mass media, la sua inaffidabilità, il cinismo ostentato nelle relazioni internazionali e verso gli arabi, non sono frutto del caso. Ogni governo democraticamente eletto esprime lo spirito e i valori della società che lo ha assurto al potere. Pertanto, malgrado il cambiamento di governo, la «sindrome Netanyahu» non sparirà se non compiremo uno sforzo diretto, consapevole e mirato a comprendere che ciò che ci appare oggi negativo non è estrinseco a noi, ed è questo quello che va cambiato. «Ampia coalizione Sanare la frattura economica, un altro stile di governo» «Evitare l'errore fondamentale di demonizzare il nemico sconfìtto»