MULTIPLEX, IL DIBATTITO

MULTIPLEX, IL DIBATTITO MULTIPLEX, IL DIBATTITO Prosegue su «TorinoSette» il dibattito sui Multiplex, queste cosiddette «città del cinema» (racchiudono in un'unica struttura sale cinematografiche, negozi, librerie, videoteche, bar) destinate a cambiare le abitudini degli appassionati del grande schermo. Questa settimana interviene Emilio Serdoz, gestore del cine teatro Fregoli di piazza Santa Giulia 2 bis. Intanto, a Nichelino il Comune ha dato il via libera per il progetto per l'impianto Multiplex (venti schermi) che verrà costruito nell'area di fronte agli stabilimenti della Vlberti. EMultiplex non avranno futuro, in Italia. All» fme, risulteranno vuote cattedrali nel deserto. Ci vuole molta incoscienza nell'investire miliardi per la realizzazione di questi complessi che avranno l'effetto di una moda di stagione. Mi domando lino a che punto abbiano valutato i rischi di un mercato le società che si apprestano a buttare tanto denaro in queste iniziative. Quali vantaggi ci potranno essere su un territorio, dove saranno sistemati questi locali, quando c'è già difficoltà a far uscire la gente da casa di sera? E' pensabile che la gente, per vedere un film, esca di sera con la pioggia o con la neve o con la nebbia per andare da Torino a Nichelino o a Settimo? E' pensabile che la gente, nelle medesime condizioni climatiche, esca da casa e arrivi da Pinerolo per venire a vedere un film al Lingotto? Tutto questo mi sembra molto improbabile. I Multiplex nascono dagli Usa, dove vivono oltre 300 milioni di persone. Le medie città hanno almeno 4 milioni di persone fino ai 12 di New York. Di fronte a queste semplici cifre, si può comprendere che li,, il fenomeno di codesta iniziativa possa avere un significato imprenditoriale altamente speculativo. Se l'americano non consuma, va hi crisi, muore. Il biglietto del cinema lì, costa meno di un pacchetto di patatine. La benzina costa pochi cent s ai litro. La sicurezza stradale (causa il maltempo), e i parcheggi hanno servizi impensabili per la nostra mentalità e per le nostre strutture. Ecco allora che questo fenomeno delle città del cinema ha potuto trovare espansione perché facilitato da molteplici cause di mezzi, di consumi e di costume. Anche il «Drive In» è partito dagli Usa. Ma quali risultati ha avuto in Italia, negli anni passati? Certi rischi imprenditoriali si possono correre solo negli Usa perché, ripeto', c'è la potenzialità del cliente. Un'ultima considerazione. Guardiamo l'interesse culturale degli italiani. In Europa, siamo ultimi in classifica a leggere ì giornali (i lettori di quotidiani sono gli stessi di 15 anni fa). Nel settore dell'editorìa: il 60 per cento delle persone legge un solo romanzo all anno, quando non legge proprio. L'editoria per ragazzi è quasi inesistente. Gli spettatori dell'opera lirica non crescono; né crescono quelli per la danza. Nel teatro privato non investe più nessuno; sono scomparsi tutti i grandi impresari e i rimpiazzi non ci sono e non ci saranno; tutti cercano il riparo nei teatri stabili che presentano, ogni anno, i bilanci in passivo agii assessori alla Cultura i quali ripianano sprechi, esuberi e mancanza di biglietti venduti di una nave di lusso destinata a sprofondare nei marosi di una crisi di pubblico che ha perso l'identità di spettatore teatrale. Di fronte a queste realtà, come si può essere ottimisti nei riguardi della «moda delle città del cinema», che stanno per nascere in Italia? Non saranno certamente i Multiplex a far crescere gli spettatori. Mi auguro invece che lo spettatore si abitui a scegliere il locale, dove si programmi un buon film, non solo, ma si abitui anche a scegliere il cinema dove possa trovare un'accoglienza familiare e non anonima; dove sia accolto con umanità e non come consumatore, che paga il biglietto e basta. Emilio Serdoz

Persone citate: Emilio Serdoz