Gioielli d'arte esposti alla guerra di Lorenzo Mondo

Gioielli d'arte esposti alla guerra F PANE AL PANE Gioielli d'arte esposti alla guerra Lorenzo Mondo LE bombe pescate nell'Adriatico, dopo i missili caduti nel Garda, fanno venire qualche brivido. Venezia non è poi così lontana. Sono ordigni di cui gli aerei della Nato, aerei alleati, hanno dovuto sgravarsi e lo hanno fatto - dicono inappuntabilmente - in acque internazionali. D'accordo, ma un fremito di acque, un trasalimento torbido deve essere giunto da quei grappoli mortiferi fino alla Laguna più famosa del mondo. La guerra è vicina. Cosa accadrebbe se un aereo impazzito, un killer suicida riuscisse a infrangere lo scudo difensivo e scagliasse bombe o si gettasse a capofitto sulla città dei Dogi? Su questo miracoloso tessuto di eleganza e bellezza? Evento oggi improponibile, ma basta solo immaginarlo per sentire in gola un groppo di straziata pietà. Il pensiero di Venezia e del suo mare rimanda, con equanime ma ben più motivata preoccupazione, alla sorte dello straordinario complesso artistico che si trova nel nord del Kosovo, ai monasteri ortodossi di Pec e Studenica. Sono i cenacoli religiosi, i focolai artistici che anche il truculento Medioevo balcanico e l'invasione ottomana hanno saputo risparmiare. Oggi entrano, empiamente, nel fascio di ragioni e pretesti con cui i serbi giustificano la loro guerra, la difesa della sovranità nazionale e la deportazione etnica nel Kosovo, Sono presi in ostaggio da una guerra «minore» che sembra ereditare e potenziare al calor bianco secoli di malintesi, di rancori, di odi. Riusciranno a passare indenni nella progressione del conflitto e dei massicci bombardamenti? Qualche ordigno «intelligente» sganciato da un immemore pilota del Kansas farà emergere tra le rovine gli occhi I sbarrati delle Vergini bizantini.', il I cipiglio severo dei Pantocratori? Si salveranno dai prodotti di una cultura tecnologica aliena, ateologica, o dall'irrazionale rivalsa di qualche dinamitardo albanese? Continua a dolere, nella memoria, l'accanimento stolido e feroce dei croati sul ponte di Montar, colpevole di avere sopportato sul suo dorso leggero il passaggio dei secoli. So bene che parlare di chiese e pitture, provare turbamento per i monumenti della storia e dell'arte, può apparire un fastidioso e crudele diversivo, mentre assistiamo alla miserabile odissea dei kosovari, al terrore delle famiglie serbe che si intanano nei rifugi. Eppure, come si piange per le stragi patite dalla povera gente si può, si deve anche fremere per tanti capolavori messi a rischio da quest'ultima guerra civile europea. Perché non si tratta solo di ornamenti, di sterile, superflua bellurie, sono le espressioni di una cultura fiorita dalla carne, dall'intelligenza, dalla passione di generazioni di uomini vivi. Sarebbe sconveniente piangere gli uni e trascurare gli altri, rassegnarsi a comunità di popoli destinati, a vagare nel deserto della bellezza e del vivere civile. Nella speranza acuta che la guerra finisca, che si ritrovino l'esigenza e il gusto delle opere di pace, attendiamo anche, con ansia, di sapere alla fine di quanto saranno più poveri, spiritualmente, vincitori e vinti. Di quanto sarà diventata meno amabile, anche per noi, Terra.

Luoghi citati: Kansas, Kosovo, Venezia