A MOSCA ATTENDENDO UN MILOSEVIC di Barbara Spinelli
A MOSCA ATTENDENDO UN MILOSEVIC A MOSCA ATTENDENDO UN MILOSEVIC Barbara Spinelli inviata a MOSCA PER molti russi la guerra del Kosovo è un incubo, di cui è meglio non parlare perché i nervi altrimenti saltano. Per altri è un momento di svolta inatteso nei rapporti tra Russia e Occidente, che mette la grande e barcollante nazione di fronte alla cruda, sgradevole verità dei fatti. Che la obbliga a decidersi infine, dopo otto anni di torbidi postcomunisti. Che la costringe - in tempi non solo brevi ma fissati da forze esterne - a definire il proprio destino, la propria collocazione nel continente europeo, il proprio rapporto tuttora irrisolto con il passato totalitario. La cruda e sgradevole verità è l'incompatibilità ormai dichiarata, che esiste tra le convinzioni politiche europee e l'ideologia nazional-comunista di un personaggio come Slobodan Milosevic La cruda verità è che guardando il leader serbo e il suo speciale mètodo di riciclare il comunismo, la Russia scorge l'immagine di se stessa, come in uno specchio: scorge le proprie tentazioni nazionalslavofile, le proprie frustrazioni anti-occidentali, la propria sindrome di grande nazione non più eletta bensì reietta, indebitamente sconfitta. Ma soprattutto scorge possibili cloni, che si stanno fabbricando a immagine e so miglianza di Milosevic: cloni che uniscono bandiera rossa e svastica, nostalgia del perduto impero comunista e cupa riscoperta dell'identità slavo-ortodossa. Il tutto in nome di un ampio risentimento anti-occidentale: colmo di rancori, di appetito di rivincita. Troppo arrogante, troppo imperiale e sicuro di sé, l'Occidente ha peccato secondo i miei interlocutori di leggerezza: per esser precisi, ha trascurato la forza dell'anima russa, la potenzialità negativa della sua umiliazione, scoprendo solo in ritardo l'indispensabilità dell'ex impero sovietico, la sua pericolosa suscettibilità, vulnerabilità. CONTINUA A PAG. 6 PRIMA COLONNA
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