«Entrapment»: ladri in fuga tra stupidità e divertimento

«Entrapment»: ladri in fuga tra stupidità e divertimento «Entrapment»: ladri in fuga tra stupidità e divertimento Lietta Tornabuonl Fn^a^ CANNES Un Rembrandt rubato a New York, una maschera preziosa, due grattacieli di 84 piani a Kuala Lumpur, un castello in Scozia, e un'isola abbandonata regno di poesia, e vita quotidiana a Londra girata in 16 millimetri con la macchina a mano: si fronteggiano al festival due tipi di cinema, uno ricco, esagerato, avventuroso, high tech, e uno povero realista, toccante. «Entrapment» di Jon Amiel con Sean Connery e con Catherine Zeta-Jones somigliantissima a Edvige Fenech, presentato fuori concorso in omaggio al protagonista, è la storia rutilante e paradossale d'una coppia di ladri sbilanciata (lui ha una quarantina d'anni più di lei) ed ambigua (quale dei due sarà al servizio dell'Fbi o delle assicurazioni?) nei pochi giorni che precedono il Duemila. Corse, numeretti da computer palpitanti, fughe, sorprese, momenti amorosi, momenti diffidenti, violenza, paura, sollievo, dinamismo: e quel sistema elettronico che in un baleno costruisce quartieri esotici, foreste di grattacieli o folle sterminate, grazie al quale, dice Wim VVenders, «presto si potrà realizzare un film come si scrive un romanzo, stando alla scrivania davanti a una macchina». «Entrapment» è stupido, malcongegnato, divertente: e resta incantevole il personaggio che Sean Connerys'è inventato per la vecchiaia, calmo e onnisciente, protettivo e provvido, seducente e capace di tutto. Povero e bello, il cinema iraniano ha in concorso un breve film in tre episodi, diretto da tre registi: Moshen Makhmal- baf, che ha dovuto girare in Tagikistan il suo ultimo film «Il silenzio»; Abolì azi Jalili, 42 anni, i cui lungometraggi sono ancora tutti censurati in Iran; Nasser Taghvai, 58 anni, il cui primo film del 1990 è stato proibito per tre anni. «Ghessé Hayé Kish» (I racconti di Kish) sono realizzati nell'isola di Kish al centro del Golfo Persico, un tempo fiorente e og^i spopolata, misera. In modi diversi, i tre autori contemplano con eleganza, poesia e bellezza la solitudine dell'isola e dei suoi pochi abitanti: un giovane in cerca di lavoro; una donna spaventata da quel mondo straniero dei consumi che un battello greco porta sino all'isola con i cartoni da imballaggio del suo carico (Nivea, Sony, BP, Winston, Konica, Agfa); un uomo che possiede soltanto una porta e la trascina sulle spalle attraverso il deserto che ha scelto come luogo d'un isolamento volontario, rotto soltanto dalla compagnia d'una ragazza bella vestita di nero con un capretta nera al guinzaglio. «Wonderland», il paese delle meraviglie di Alice di Lewis Carroll, è un titolo un po' ironico e un po' affettuoso per il film di Michael Winterbottom (inglese, 38 anni, già autore di «Butterfly Kiss», «Judo», «Benvenuti a Sarajevo»), girato nello stile e con l'attrezzatura tecnica dei documentaristi, che segue a Londra la vita d'una famiglia durante un fine settimana. E' una famiglia disunita, ciascuno vive per suo conto: padre e madre sperimentano l'ozio, le amarezze e le piccole sordide liti della vecchiaia; un figlio se n'è andato da anni; una figlia è al termine della gravidanza e partorisce mentre il marito, spaventato dalla paternità e dalla responsabilità, scompare da casa; una figlia parrucchiera s'occupa del figlio da sola dopo la separazione dal marito e una sera il bambino si perde; una figlia cameriera in un caffè di Sono cerca un uomo, non lo trova, lo ha sotto gli occhi. Molto ben recitato soprattutto da Gina McKee, il film è realistico, carino, un poco fraile: al limite di «Un posto al soa» o di un'altra soap opera. Tre autori iraniani raccontano l'isola di Kish. E per Winterbottom la famiglia è disunita

Luoghi citati: Iran, Kuala Lumpur, Londra, New York, Sarajevo, Scozia, Tagikistan