Le bombe Nato sui riffugiati kosovari di Giuseppe Zaccaria

Le bombe Nato sui riffugiati kosovari Belgrado annuncia: vicino a Prizren colpito un capannone dove si erano riparati 600 sfollati Le bombe Nato sui riffugiati kosovari Nuovo errore dell'aviazione: 79 morti, 100 feriti Giuseppe Zaccaria inviato a BELGRADO Altri corpi carbonizzati, resti di bambini ridotti a mummie, scheletri di trattori che ardono, un ennesimo «errore» che l'altra notte nel bombardamento di una fattoria kosovara ha causato 79 morti e un centinaio di feriti fra rifugiati albanesi. E' la strage più sanguinosa compiuta dalla Nato in 51 giorni di bombarci amen t i : a pjakovica, il 24 aprile scorso, nel misterioso attacco al convoglio di profughi i morti erano stati 76. Poco prima di mezzanotte, i jet dell'Alleanza hanno attaccato a più riprese una fattoria nella quale cinque o seicento kosovari avevano trovato rifugio per la notte, a Korisha, villaggio vicino a Prizren. I sopravvissuti raccontano che le incursioni sono proseguite fin quasi alle tre del mattino, che sul complesso circondato da trattori sono caduti sei missili ed otto grappoli di bombe a frammentazione. Per vecchi, donne, bambini non c'è stato scampo. All'alba, quando l'unico giornalista occidentale di stanza a Prìstina (il corrispondente della «France Presse») è riuscito a raggiungere la fri l fattoria, le scene che gli sono apparse erano spaventose. Dai capannoni trasformati in discarica umana corpi carbonizzati venivano portati via a gruppi, qualcuno infilato in sacchi di plastica, molti altri celati a malapena da vecchie coperte. Ammassato sotto una tettoia, un grappo di sopravvissuti lanciava lamenti animali. Non c'è alcuna spiegazione al fatto che quel coml rìl i t plesso agrìcolo sia stata scelto come obiettivo. Un vice ministro inglese* cere;! di sostenere che i serbi forzano gli albanesi a dormire sotto ,i pùnti per esibirli poi come vittime in caso di incursioni. Quel complesso però non era un ponte: sorge ai bordi della strada fra Prizren e Suva Reka, nei dintorni non esistono attrezzature militari, non caserme né aeroporti né unità corazzate: forse la sola giustificazione sta nell'ipotesi che 'la Nato abbia considerato quei capannoni come probabile rifugio di truppe serbe. Invece era un ricovero di rifugiati albanesi. Gente che apparteneva ai villaggi di Zekince, Mattala e Kabas e fino a poche ore prima si era nascosta nei boschi della zona. Il Centro di difesa civile di Pristina sostiene che stessero rientrando verso casa, le fonti ipotizzano invece un altro episodio di pulizia etnica o di spostamento forzato. La ricostruzione più credibile vuole che quelle persone avessero cercato di dirigersi coi loro trattori verso le frontiere albanese e macedone e fossero state respinte indietro dalla polizia jugoslava. In Kosovo, adesso, i giorni sono di caldo torrido e le notti fredde. Per molti albanesi, indirìzzati o no verso il ricovero, quella fattoria vuota nei pressi di Prizren era parsa un buon posto per trascorrere ' la notte. , Adesso dall'ospedale del capoluogo, dove molti dei feriti sono stati trasportati, filtrano relazioni agghiaccianti. D dottor Dragan Softic, primario, dichiara alla «Tanjug», l'agenzia ufficiale, che la maggior parte dei feriti è in preda a «blostsyndrom», il che significa avere il corpo ricoperto da ustioni e le ossa,' piene di fratture. Sette persone hanno dovuto subire amputazioni, cinque hanno la spina dorsale spezzata e sono in pericolo di vita. Fra le vittime, quasi sempre irriconoscibili, almeno quaranta erano state donne o bambini. A tarda sera, una fonte occidentale a Belgrado azzardava una ricostruzione che sembra credibile: quella fattoria, si dice, in passato aveva realmente accolto truppe serbe. Nei capannoni avevano trovato ricovero per qualche notte reparti di polizia e forse anche carri armati. Ma è ormai arcinoto che le unità serbe si difendono dalle incursioni Nato esattamente come i reparti dell'«Uck» usavano proteggersi dai loro stessi attacchi. Questo significa muoversi in continuazione, mimetizzarsi nei centri abitti ricre abitati, ricorrere ad ogni tipo di «camoufflage». Tattica che fino ad oggi ha pagato, dal punto di vista serbo, mentre sul versante opposto non sembra aver spinto gli strateghi Nato a cambiare regi- stiro, cercando metodi di attacco più efficaci. Questo dal punto di vista tattico. Ma sul piano più generale c'è una realtà con cui ormai bisogna faro i conti, se non altro perché Slobodan l f pMilosevic l'ha calcolata alla perfezione ed attende solo che la Nato cada vittima della propria stessa potenza di fuoco. Gli obiettivi militari che era facile colpire sono stati colpiti, quelli davvero importanti sono sepolti decine di metri sottoterra e le incursioni aeree non li scalfiranno nemmeno. L'altra notte gli aerei Nato hanno compiuto sulla Jugoslavia 679 missioni, il più intenso martellare di attacchi dall'inizio della gueira (in tutto ventimiladuecento missioni, con settemilaseicento bombardamenti). Con un simile diluvio di fuoco, il fatto che l'ennesimo errore abbia causato solo 79 morti va considerato un miracolo. Intanto, secondo il centro di sicurezza di Nis, un aereo Nato è stato abbattuto dalla contraerea attorno alle 19,30. Il pilota sarebbe riuscito a lanciarsi con il paracadute. L'altra notizia agghiacciante, giunta nella tarda serata, viene dalla Cnn: la rete americana ha mostrato le immagini di un massacro serbo, compiuto il 27 marzo e filmato il 30.1 corpi riversi di 127 persone mostravano ferite d'arma da fuoco. E quel ch'è peggio, erano tutti uomini: una prima, disgraziata indicazione della fine che possono aver fatto i kosovari in età di leva strappati alle famiglie durante la deportazione. . Gli jugoslavi «Abbiamo abbattuto un aereo nemico» La Cnn mostra le immagini di una esecuzione i di massa: 127 albanesi uccisi | -t» v I- Il villaggio di Korisa, vicino a Prizren, dove, secondo le fonti dì Belgrado, un attacco Nato avrebbe ucciso cento kosovari di etnia albanese

Persone citate: Reka, Slobodan

Luoghi citati: Belgrado, Jugoslavia, Kosovo, Prìstina, Suva