Gitaï: «Apro la mente d'Israele»

Gitaï: «Apro la mente d'Israele» Gitaï: «Apro la mente d'Israele» «L'arte ci libera dall'integralismo religioso» CANNES Nel nome della «tolleranza e della comprensione» il regista israeliano Amos Citai ha girato «Kadosh», il film con il quale, dopo 25 anni di assenza, Israele toma in concorso al Festival. Il caso vuole che questa pellicola così densa di significati e messaggi venga presentata a un pubblico internazionale proprio a pochi giorni dalle elezioni israeliane: «Un momento decisivo - commenta l'autore - in cui il mio Paese deve .scegliere se diventare aperto, libero, democratico oppure se soccombere del tutto al potere della religione e ai religiosi che rappresentano una minaccia per la società civile. Israele deve conservare uno spirito democratico e deve porsi con un'attitudine più razionale nei confronti del Medio Oriente». L'importanza di questa consultazione, aggiunge l'autore, è legata anche al fatto che «per la prima volta il partito laburista ha finalmente preso una posizione chiara nei confronti delle organizzazioni religiose, che raccolgono circa il 20% dei voti, annunciando che non si coalizzerà con esse». Osservatore attento dei destini incrociati di coloro che compongono la storia antica o recente di Israele, figlio di una professoressa di teologia ebraica e di un ur¬ chitetto di origini polacche, Gitai dice che i suoi «film e i suoi documentari costituiscono una testimonianza su un Paese in costante ridefinizione, alla ricerca di nuove frontiere fisiche e mentali». Attraverso la sua ultima trilogia cinematografica, Gita! ha voluto descrivere la situazioni di tre grandi città israeliane radicalmente diverse fra loro: Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme. «Scrittori, giornalisti, registi - dice l'autore hanno il compito di sensibilizzare l'opinione pubblica contro l'integralismo». Un compito che Gitai, in «Kadosh», svolge scegliendo un punto di vista femminile: «Nel Dna di ognuno di noi è presente una parte femminile e una maschile, diciamo che ho girato questo film con la mia parte femminile. Ho scritto la sceneggiatura e i dialoghi con Jacky Cukier e soprattutto con Eliette Abecassis. Lei è praticante, io sono ateo, quindi il suo aiuto mi è stato prezioso». Qual è il peso delle sette religiose come quella di cui si parla in «Kadosh» nella società israeliana contemporanea? «Per capirlo basta sapere che il 25% della popolazione di Gerusalemme è composta dagli appartenenti a diverse sette religiose integraliste». Qual ò la capacità di diffusione e riproduzione di queste sette? «Si riproducono da sole, di generazione in generazione e la cosa più preoccupante è che i giovani sono spesso più chiusi e integralisti dei padri» La posizione delle donne in queste sette appare intollerabile, quasi incredibile. «Non è solo la religione ebraica a riservare alle donne questo ruolo. Tutte le religioni monoteiste sono fondate sul concetto dell'umiliazione della donna e sul negar loro qualsiasi ruolo nella società che non sia quello riproduttivo. La preghiera ebraica del mattino comprende effettivamente la frase "Dio ti ringrazio per non avermi fatto donna"». Le è capitato di vedere «La vita ò bella» di Roberto Benigni? «No e non credo che lo vedrò. Ma non si tratta di un pregiudizio, e nemmeno del fatto che non considero giusto il raccontare certi avvenimenti attraverso la chiave della commedia. Ho visto il film di Spielberg "Schindler's list" vari anni dopo che era uscito. Il problema è che mi è insopportabile veder scorrere sullo schermo immagini che mi riportano a una tragedia terribile come l'Olocausto», [f. ci li regista israeliano Amos Gitai: il suo «Kadosh» (Sacro) presentato ieri è un film Interessante più che bello

Persone citate: Amos Citai, Amos Gitai, Eliette Abecassis, Gitai, Jacky Cukier, Roberto Benigni, Spielberg

Luoghi citati: Cannes, Gerusalemme, Israele, Medio Oriente, Tel Aviv