Alle rassegne di Alessandra Levantesi
Alle rassegne Alle rassegne Più dolore meno giovani Alessandra Levantesi CANNES Come di prammatica con un giorno di distacco rispetto alla competizione, «Un Certame Regard» e «La Quinzaine des Realisateurs» hanno aperto i battenti. Non è forse un gran notizia, mentre imperversa nei Balcani una guerra che coinvolge l'intera Europa, mentre sono in corso le elezioni del nostro Capo di Stato, mentre la folla del lungo ponte dell'Ascensione invade la Croisette finalmente assolata in cerca di un po' di chiasso. Ma bisogna anche dire che il cinema, sempre misteriosamente in sintonia con l'umore dei tempi, è spesso capace di rispecchiare la realtà meglio di un telegiornale. Così nelle varie sezioni del Festival registriamo che sono quasi spariti i film dedicati, magari in chiave di commedia, ai temi giovanilistici alternativi (emarginazione, amori omosex, pedofilia, violenza urbana) molto presenti negli ultimi anni. A sfogliare il catalogo di questa edizione si nota una prevalenza di storie che, pur restando individuali, rimandano a scenari sociali e politici ampi; e la materia appare filtrata da una riflessione più dolorosa che scherzosa. Per esempio «L'altro» di Youssef Chahine, che ha inaugurato il «Regard», si presenta come una specie di Romeo e Giulietta ambientato nel Cairo di oggi, però l'amore non viene sconfitto dall'inimicizia dei rispettivi clan famigliari, bensì dal processo di globalizzazione che sta distruggendo l'identità culturale del Paese. Da buon alessandrino, il regista egiziano dichiara di essere contrario a qualsiasi frontiera, sia di religione che di nazionalità: «Con tanti amici in ogni parte del mondo, io pratico la globalizzazione da trentacinque anni» ama dire, ma la mondializzazione economica significa «avvicinare lu gente solo perché pochi possano dominare molti». Il film evidenzia la disonesta connivenza fra politica locale e finanza internazionale, denuncia l'integralismo come un braccio strumentale del potere ed esalta l'amore in quanto insostituibile fattore unificante. Nel proposito di riuscire a comunicare almeno in patria con il grande pubblico, Chahine sceglie un tono forse troppo didascalico e ingenuo, mescolando canzoni, esotismi e tragedia secondo le tecniche narrative del romanzetto popolare. E' un procedimento che rischia di far arricciare il naso a noi sofisticati spettatori occidentali, però Chahine rimane un intellettuale impegnato; e non si può non ammirare la spregiudicatezza di linguaggio e il coraggio con cui l'anziano maestro affronta temi d'indipendenza femminile, la coesistenza pacifica delle tre religioni monoteiste) che dalle sue parti è pericoloso affrontare. L'apertura della «Quinzaine» è stata invece europea e formalmente raffinata, grazie a percorsi notturni del berlinese Andreas Kleinert che in un desolato paesaggio metropolitano reso estremamente suggestivo dalla fotografia (ben in linea con taluni aspetti dell'arte contemporanea tedesca) di Jurgen Jurges descrive la parabola nera di Valter (incarnato dallo straordinario Hilmar Thate): un dirigente abituato al comando che rimasto senza lavoro sfoga distruttivamente la sua impotenza, formando una piccola gang di giustizieri della notte con due giovani diseredati, Gina e il fratellastro René. Naturalmente dietro l'ellittico racconto si nasconde un discorso sul potere, sul nichilismo e sulla Germania. Insomma, «Percorsi notturni» è e vuole essere un film politico.
Persone citate: Andreas Kleinert, Chahine, Jurgen Jurges, Youssef Chahine
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