L'Occidente cerca altri mediatori

L'Occidente cerca altri mediatori L'Occidente cerca altri mediatori Per il Kosovo pellegrinaggio diplomatico a Helsinki Glulietto Chiesa corrispondente da MOSCA I nuovi comandamenti per uscire dalla guerra dei Balcani li ha esposti ieri il presidente Jacques Chirac dopo il colloquio con Cernomyrdin: «La presenza intemazionale in Kosovo dev'essere costruita sulla base di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, con l'accordo di Belgrado e con la partecipazione obbligatoria della Russia nella forza internazionale». Su questo c'è accordo tra Russia e Francia. Non è chiaro se c'è anche tra Russia e Stati Uniti, perché dai colloqui tra Cernomyrdin e il vicesegretario di Stato Talbott sono uscite soltanto generiche dichiarazioni di buone intenzioni e ottimistici «avvicinamenti» di posizione. Nel frattempo però s'intensificano i voli verso la Finlandia. L'altro ieri c'è andato Strobe Talbott, ieri sera è partito verso Helsinki anche Cernomyrdin. Il significato di questa spola diventa sempre più chiaro: l'Occidente cerca un altro mediatore. Parallelo oggi; domani, se non resterà niente di meglio, alternativo a Cernomyrdin. E il presidente finlandese Ahtisaari. Ovviamente il suo peso è diverso da quello che avrebbe potuto giocare Mosca, ma il suo non allineamento potrebbe rivelarsi utile, anche perché Ahtisaari non ha ambizioni geopolitiche eurasiatiche e non ha la pesante zavorra cinese che è invece attaccata al piede dei russi. Cernomyrdin non intende perdere nessuna battuta e s'accoda anche lui sulla via di Helsinki, ma l'impressione, di ora in ora, è che la Russia vada perdendo di peso man mano che la crisi politica interna si avvicina all'«ora X» dell'impeachment. Anche perché si ricava una strana impressione di sbandamento nelle varie dichiarazioni rilasciate dai leader, dai russi e dagli ospiti. Ieri ad esempio Chirac si è lasciato scappare una battuta equivalente ad affossare anche il migliore dei mediatori, quando ha rivelato ai giornalisti di avere potuto registrare «tra i suoi interlocutori russi» che «non solo non c'è simpatia per Milosevic, ma neppure accordo con le sue posizioni». Se fosse vero - e con tutta probabilità lo è - Milosevic potrebbe tranquillamente far sapere a Cernomyrdin che non c'è bisogno di un altro suo viaggio a Belgrado. Il fatto è che Eltsin (e Cernomyrdin) sono sempre più risucchiati nell'orbita della Nato e, nello stesso tempo, sono dilaniati dalla necessità di non perdere contatto con la Cina. Brutto guaio fare il mediatore in queste condizioni. L'unica cosa certa è che, assieme a Primakov, licenziato l'altro ieri, sta per essere espulso dalla politica estera russa anche Igor Ivanov. Un altro cambio annunciato, che ha aperto una vorticosa lotteria di candidature. In testa alla quale c'è Cernomyrdin stesso (graditissimo agli americani), che tornerebbe così al governo. Seguono Vladimir Lukin, ex ambasciatore a Washington, che significherebbe una strizzata d'occhio a Grigorij Javlinskij (che pero non è gradito agli americani). Altro candidato che circola è Serghej Jastrzhembskij, ex portavoce di Eltsin ora passato nel campo di Agl'amante, cioè al servizio del sindaco di Mosca Jurij Luzhkov (gradito agli americani, ma poco gradito a Eltsin che non sopporta gli ex collaboratori). Qualcuno ha tirato fuori perfino il vecchio ministro degli Esteri dell'epoca del golpe contro Gorbaciov, Bessmertnikh. Tutto è possibile, naturalmente, nella Russia di Boris Eltsin. Anche un qualsiasi, sconosciuto outsider. Si ricorda che Gorbaciov nominò ministro degli Esteri Eduard Shevardnadze, tra lo stupore generale: uno che mai si era occupato di politica estera. Invece, come sappiamo, se la cavò niente male. L'unica cosa che si può dire è che al nuovo ministro degli Esteri occorrerà qualche tempo per entrare nel ruolo. E il tempo corre veloce, come i missili e le bombe che cadono sulla Jugoslavia.