E Livorno suona le sirene di Fabio Poletti

E Livorno suona le sirene E Livorno suona le sirene La sua città in festa per l'elezione Fabio Poletti Inviato a LIVORNO " Un posto fisso in tribuna d'onore allo stadio Armando Picchi e il tavolo d'angolo di sempre al ristorante Barcarola, specialità caciucco, dove su un muro sono incorniciate mille lire autografate quando era governatore di Bankitalia. Adesso che è diventato il decimo presidente della Repubblica, al livornese Carlo Azeglio Ciampi hanno riservato ogni onore, anche le sirene giù al porto che suonano a coprire la voce di Luciano Violante, quando per l'ennesima volta ripete alla Camera il cognome Ciampi. «Un galantuomo, una persona per bene, uno che non è mai stato un notabile e alla città ha dato più consigli che favori», esulta il sindaco Gianfranco Lamberti, mentre mostra con orgoglio quella foto che sembra un presagio. «I due presidenti...», sorride, mostrando Ciam- pi accanto a Scalfaro, due anni fa a Livorno per l'inaugurazione del museo Fattori a villa Mimbelli. Che Carlo Azeglio Ciampi, classe 1920, abbia lasciato la città a trentatré anni dopo le due lauree alla Nonnaie di Pisa, per quel concorso alla Banca d'Italia che l'ha portato fino al Quirinale, sembra non importare nessuno. «Le sue radici sono sempre state qui, qui è sempre tornato», giurano tutti, davanti al negozio di ottica di via Ricasoli: cinque generazioni di Ciampi alla guida, dal vecchio Temistocle Azeglio che nel 1898 si mise in proprio, ai giovani Francesco e Federico, nipoti in camice bianco del neo-inquilino del Quirinale. «Un ottico mancato», dicono con affetto del Presidente da tre ore, quelli che passano davanti al negozio. A salutare, a congratularsi con Paolo, l'altro nipote. «Non ho voluto disturbare mio zio, mi è bastato parlare con suo figlio Claudio, era soddisfatto...», sceglie il basso profilo Paolo Ciampi. «L'unico rimpianto e che non ci sia più Giuseppe, che era mio padre e suo fratello», ricorda commosso il legame tra i due fratelli, l'ultimo incontro lo scorso marzo, al centenario della ditta. Le vetrine sono in pieno centro, a due passi dalla casa natale di corso Amadeo, all'ombra del teatro Goldoni dove nel '21 Gramsci e Boi-diga fondarono il Pei. «Dove lui, mi ha raccontato mille volte, andava a sentire le prove delle opere di Mascagni», racconta ancora il sindaco, che adesso vuole fare un consiglio comunale straordinario e che, per l'anno prossimo, alla fine dei restauri, sogna già di invitare il Presidente, insieme agli amici di sempre. A partire da Furio Diaz, primo sindaco della Liberazione. Per arrivare a monsignor Alberto Abiondi, vescovo della città, stesse scuole dai gesuiti di Carlo Azeglio Ciampi. «Grazie Presidente, la sua storia è la speranza di tanti, grazie per aver mostrato a tutti noi di essere cittadino italiano ed edificatore di un mondo nuovo», lo benedice con orgoglio il vescovo amico. Lo stesso orgoglio che si trova nelle parole di Massimo Serafini, il presidente della cooperativa che ha fatto rinascere il porto, dopo la crisi. «La sua nonnina, per noi del cantiere è un fatto straordinario», dice. «Noi cantierini la viviamo con un'emozione in più». «Se non fosse che ha studiato a Pisa, sarebbe perfetto», lo promuove anche Mario Cardinali, direttore del satirico Vernacoliere, che ha pronta già la copertina del prossimo numero. «Quello in cui invitiamo alla pulizia etnica contro i pisani, pulizia perché si lavino...», la butta sull'antica rivalità, quella che spunta anche nei cartelli sull'Aurelia, dove spicca Livorno città depisanizzata. Un senso d'appartenenza, forte anche per il presidente Ciampi. Che in passato ha dichiarato con orgoglio di essere livornese, che anche da Roma ha sempre seguito la squadra di calcio amaranto. Mordendosi le mani per ii campionato perso per un punto nel '42-'43 contro il Torino. Rimordendosele l'anno scorso per quella promozione mancata dalla CI, sempre per il solito punto. «Ma adesso che ha il posto d'onore...», sogna alla grande Spinelli, l'altro presidente della città. Ed è l'ennesima voglia di riscossa di una città che tutti vedono brutta, ricostruita com'è dopo i bombardamenti del '45, pur amandola da impazzire. Al punto da inventare la bufala dei falsi Modigliani nei fossi, per riempire musei vuoti. E di credere alla favola che un funzionario di banca amante del cioccolato, possa arrivare fino al Quirinale.

Luoghi citati: Livorno, Pisa, Roma