L'uomo che ha smontato i partiti di Filippo Ceccarelli

L'uomo che ha smontato i partiti Eppure il Palazzo lo ha sempre coccolato perché «figura indiscussa al di sopra delle partì» L'uomo che ha smontato i partiti II neo Presidente persegue la «rivoluzione dolce» Filippo Ceccarelli ROMA Ah, i socialdemocratici di una volta..: Era il marzo del. 1994 quando, manifestando un'inusitata preveggenza, con un pungente corsivo suil' Umanità attaccarono i professori Giardina, Sabbatucci e Vidotto che in un manuale di storia per le superiori pubblicato da Laterza s'erano permessi di definire Carlo Azeglio Ciampi «figura indiscussa al di sopra delle parti». Per quanto non seguitissimo, l'Umanità obiettava. In quei giorni Ciampi stava andandosene da Palazzo Chigi, e il corsivetto non era dunque una prova di coraggioso anticonformismo. Ma si capiva. Davvero il Psdi non aveva motivi di gratitudine verso di lui - come del resto quasi tutti gli altri partiti. Nessuno più dell'attuale Presidente della Repubblica, in effetti, ha contribuito a smontare la partitocrazia. Sei anni dopo, con quella che Giulio Andreotti ha definito «una prova di efficienza e di compostezza», un nuovo governo dei partiti - se proprio non si vuole usare la parola «partitocrazia» - l'ha riconosciuto e votato quale «figura indiscussa al di sopra delle parti». Paradossi all'italiana. Un presidente scelto dai partiti perché a suo tempo contro i partiti e ora fuori dai partiti. In questa trivalente e mobile identità, in questa condizione a prima vista contraddittoria sta in realtà tutta l'essenza politica di Ciampi. E trova un senso anche quel profluvio di definizioni un po' equivoche tipo «tecnico», «traghettatore», «supplente» o «civti servanti», in ogni caso «prestato alla politica». Sta di fatto che chiamato in un momento drammatico Ciampi non fu per niente tenero con i partiti, quei partiti. Non li consultò per i ministri, non partecipò mai alle loro manifestazioni, non ' entrò mai nelle loro, se di, gli diede un mese di tempo per fare la legge elettorale e in seguito si vantò anche di aver seppellito il «manuale Cencelli». Eppure, o proprio per questo, ebbe la consapevolezza, questa sì tipicamente politica, di concorrere alla «destrutturazione» di un vecchio sistema. Si guardò bene dal confessarlo, forse nemmeno a se stesso. Solo una volta accennò s «una rivoluzione dolce». Ebbe a spiegare un giorno, con romana franchezza, il suo amico e ministro Luigi Spaventa: «Ciampi può sempre dure: "Non ci so venuto, mi ci hanno mandato"». C'era un che di molto visibile in questa sua fattiva estraneità ai meccanismi partitici. «I suoi incerti passi quando sale sulla tribuna di Montecitorio - ha scritto Montanelli - e l'ansietà con cui si fruga in tasca alla ricerca dei foglietti da leggere fanno dire alla gente: "None di quelli"». Il linguista De Mauro notò che aborriva il linguaggio dei comizi e parlava come Giolitti. In estate stipulò il più politico tra gli accordi con i sindacati; in autunno varò la più politica delle finanziarie; in inverno se ne andò auspicando il ritorno di «persone che vivono nella politica e per la politica». Il punto è che, anche indipendentemente dalle volontà individuali, non è che si sceglie la politica, ma talvolta si è scelti. In questo, dimostra la storia di Ciampi aggiornata a ieri, i partiti c'entrano fino a un certo punto. Anzi, si ha qualche motivo di ritenere che se c'entrano, è per negazione, o alla rovescia. Sta di fatto che nel 1994 la sinistra perse, ma Ciampi continuò ad esserci - anche se non faceva nulla per restare. Né, con un atteggiamento che di nuovo, a costo di risultare noiosi, si può definire assai politico, recriminò o rivendicò speciali trattamenti. A rileggersi gli articoli che lo riguardano nel 1994 e 1995, a par- te le ricorrenti foto in pattino, pare che il personaggio ondeggi tra due scomodi archetipi: il Grande Vecchio e Cincinnato. Fini e gli altri di An, pure con la partecipazione straordinaria di Cossiga, lo vedevano come l'ispiratore occulto dei poteri forti scesi in guerra contro il berlusconismo. Altri invece, a sinistra, lo rimpiangevano, lo richiamavano, lo candidavano a tutto. Chicco Testa arrivò a rivendicare «l'uso elettorale» deU'immagine dell'ex presidente; altri ancora, come Passigb, lo volevano senatore a vita. Il fatto che nel frattempo Ciampi si limitasse a tenere conferenze in parrocchia, o a presentare libri, ritirare premi, scrivere garbate, ma puntigliose lettere di precisazione sull'esperienza governativa, era secondario. «Lui sì che era un vero tecnico», arrivò a dire Giulianone Ferrara (in odio a Dini). Quando stava per partire il tentativo Maccanico, si parlò per la prima volta di un'ipotesi Ciampi superministro dell'economia. Come avvenne con il governo Prodi e poi con D'Alema. Si può dire che anche allora lo scelsero i partiti? Certo, si può. Ma a condizione di aggiungere che si tratta della scelta di «una figura indiscussa» al di sopra o al di tuo ri dei partiti. I quali partiti - e non è un gioco di parole, ma un raffinato scambio politico - di mostrano così di avere pure loro un rimarchevole istinto di sopravvivenza. Qui sotto l'economista Luigi Spaventa Accanto il giornalista Indro Montanèlli e a destra il senatore a vita Giulio And reotti Ondeggia tra due scomodi archetipi: il Grande Vecchio e Cincinnato Per An era l'ispiratore dei poteri forti

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