Israele, caccia al voto tribale

Israele, caccia al voto tribale Il peso dei gruppi etnici e religiosi oscura le tradizionali categorie politiche Israele, caccia al voto tribale Netanyahu strizza l'occhio al revanscismo sefardita il rivale Barak corteggia l'appartata comunità russa Fiamma Niranstein nostro servizio GERUSALEMME Chi acchiappa i russi, vince le elezioni. Chi si accaparra i marocchini, gli va bene. Chi ci sa fare con gli arabi, ha un bel mazzo di 600 nula voti su cui giocare. Cominciò qualche anno fa, quando Netanyahu sussurrò all'orecchio di Rav Kadouri, uno dei santoni oggetto della venerazione superstiziosa del popolo religioso maghrebino, che gli ashkenaziti di sinistra non sapevano più cosa volesse dire essere ebreo. Un sussurro, per caso captato da un microfono della tv che suscitò una guerra. Era l'inaugurazione dell'arma politica etnica, la più sfoderata durante queste elezioni israeliane ormai vicinissime. Se si vuole sapere chi sono i Butrascioli della Georgia, Ehud Barak, il candidato di sinistra, ve n'è può dare buona informazione: pochi giorni or sono lo si poteva seguire ad Ashod dov'è andato per incontrare questo gruppetto di nuovi immigrati, e mangiare con loro le tradizionali blinches (una specie di crèpe). Oppure, si possono durante queste elezioni ricavare molte informazioni sullo snobismo e i costumi americanizzati della «olita», come si chiama qui, seguendo le chiacchiere di Netanyahu fra i banchi del mercato dove regna il rivendicazionismo sef ardita; oppure, si può ricevere una lezione di storia sulla seconda guerra mondiale e il ruolo dell'Urss seguendolo a un raduno di veterani russi. Il primo politico abbastanza spregiudicato da usare l'arma etnica fu Menahem Begin, che vinse le elezioni del '77 col voto sefardita contro il potere dei grandi vecchi, Ben Gurion, Golda Meir, Moshe Dayan, Ygal Allon, tutti atei e tutti socialisti, chi più chi meno. Ma lo stile era alto, i toni più contenuti. Negli anni il voto sefardita si è poi sfrangiato: non ha trovato grandi leader, non ha trovato grandi cause sociali, anche perché ì processi di integrazione sono stati piuttosto veloci e intensi, checché se ne dica. La rabbia della gente religiosa di origine maghrebina si è andata fondendo con l'abile politica acquisitiva dei religiosi di Shas, il partito di Arieh Deri, il figlioccio elettivo del grande rabbino Ovadia Yossef. Deri è un cinquantenne marocchino di grandi capacità politiche travestito come i tutti i suoi simili nella gabbana nera da europeo; da poco è stato condannato al carcere dal tribunale per corruzione, ma è attivissimo sulla piazza elettorale, e adorato dai suoi. E' Shas adesso, che nella propaganda televisiva, basandosi proprio sulla condanna di Deri, racconta le tribolazioni del cittadino di seconda classe, la sua povertà. E' Shas che gli promette rispetto, infrastrutture e beni mobili e immobili, a detrimento dell'influenza del Likud che rappresentava tradizionalmente la folla marocchina. I leader maghrebini come David Levy sono stati eclissati: Netanyahu stesso, come un Zeus che mangia i suoi figli, li ha fatti fuori e ora la folla gli scappa di mano. Il Likud, adesso che Shaf ha indicato Bibi come suo candidato a primo ministro, di fatto prenderà alcuni voti dei religiosi, ma rischia di perdere nella zona di centro, solo moderatamente tradizionalista, che non vuole essere confusa con gli ultraortodossi. E anche i russi non sono più tutti suoi: nel '96 Bibi prese il 68 per cento dei loro voti, e adesso, secondo i sondaggi, appena il 60 per cento. Se le cose restano cosi, Bibi può perdere. I russi sono un mondo a parte; a differenza dei sef arditi molti si rifiutano di parlare ebraico per tutta la vita e il loro corporativismo è basato sulla profonda convinzione di essere culturalmente e socialmente migliori degli israeliani. E' molto più importante avere un figlio violinista che non un tiglio eroe in un'unità combattente. Il poeta Bialik, al confronto di Dostoevskij, li fa ridere. I loro spot elettorali televisivi, neppure si degnano di avere i sottotitoli in ebraico. I russi giunti fra l'89 e il '98 sono circa un milione e 700 mila, gente scappata dalla rovina dell'Urss, decisa a cercarsi una vita agiata più che non una vita sionista. Gli immigrati degli Anni 70 avevano un'ideologia anticollettivista, liberale, decisa a difendere la Terra Promessa a fianco di chi glielo proponesse. Gli immigrati più recenti sono invece delusi, poveri, declassati, decisi a battersi per se stessi. Una comunità con 78 mila ingegneri, 16 mila medici e dentisti, 16 mila artisti. 37 mila insegnanti e 12.500 scienziati è ben difficile da sistemare. Si aggiunga che la mafia russia è un fenomeno autenticoo, come anche la prostituzione russa. Nei giorni scorsi un esponente di Shas ha dichiarato in pubblico che i russi sono tutti gangster, puttane e mangiatori di maiale. Un'attrice di sinistra, durante un rally a cui Barak era presente, d'altra parte ha proclamato che qualsiasi cosa dica la sinistra è completamente incomprensibile per quella «marmaglia di ignoranti» dei sefarditi. Ambedue i gruppi più consistenti di votanti ambiscono ad ottenere il ministero degli Interni poiché regola i problemi degli immigrati e dell'ordine: Netanyahu secondo il suo stile ha promesso tutto a tutti cercando di giocare su tutti i tavoli disponibili. Barak quanto meno poiché risulta poco credibile ai religiosi punta decisamente le sue carte sui russi, e può darsi che sia una buona puntata. Ultimamente una biografia di Barak è stata tradotta in russo con una frase immessa fraudolentamente da qualche nemico della sinistra: secondo questa frase Barak si è rifiutato di comprare una casa a Gerusalemme Est «perché tanto poi dovrà essere restituita». Una brutta manovra, che mostra da parte della destra un disperato tentativo di recuperare terreno. Esiste poi un altro bel gruppo di votanti, gli arabi israeliani. Con una lista nuova di zecca presentano un loro candidato primo ministro, Azmi Bishara, un giovane filosofo, che corre sotto lo slogan «Un Paese per tutti i suoi cittadini». Ma forse Bishara si ritirerà all'ultimo istante per dare i suoi voti a Barak un giorno prima delle elezioni, sperando in una vittoria secca al primo turno: gli arabi restano una riserva di consensi destinata alla sinistra. E tuttavia, stufi delle promesse disattese dei governi precedenti e in fondo indifferenti al nome del prossimo primo ministro, sembrano in piccola parte attratti niente meno che da Shas1 In fondo il suo popolo è povero come loro, ha bisogno di case e di infrastrutture, parla la sua stessa lingua, ama la stessa musica, mangia humus e falaffel. Un ultraortodosso a Gerusalemme, sullo sfondo manifesti di Netanyahu

Luoghi citati: Georgia, Gerusalemme, Gerusalemme Est, Israele, Urss