La Caporetto del Partito popolare di Fabio Martini

La Caporetto del Partito popolare LflSCaAMENfÒ^DHEL PPI PAUA-RESISTSNZA AI-MESTO Sl'>A CIAMPX HSIV L'I tJlli .!.!'->:) u ùt£ La Caporetto del Partito popolare 77 segretario si sfoga: D'Alema non è stato ai patti retroscena Fabio Martini ROMA I lui Carlo Donat Cattin diceva che «Marini è uno che uccide con il silenziatore». Ma nel pomeriggio più lungo della sua vita, Franco Marini è stato costretto lui a un lunghissimo silenzio. Per quattro ore Marmi si è rinchiuso nel suo studio di piazza del Gesù, senza riuscire ad articolare una reazione, rimuginando con i suoi un'idea per uscire dall'angolo e scaricando la sua rabbia per essere stato «tradito» da D'Alema. Ma più durava il silenzio di Marini, più lievitava la candidatura di Ciampi. Finalmente alle sette della sera le porte del primo piano si aprono. Ma inaspettatamente si consuma uno spassoso sketch che aiuta a capire il clima nel quale si è consumato l'«8 settembre» popolare. Anziché Marini, sull'uscio di piazza del Gesù compare un anziano, minuto signore che con aria grave annuncia: «Marini mi ha chiesto di tenermi pronto: sarò io il candidato istituzionale dell'ultima ora». Chi non lo conosce, sbanda. Ma a piazza del Gesù lo sanno tutti: ad Antonio Ambra, 78 anni, combattente a Montecassino, da decenni piace raccontare le sue storie e i capi democristiani, nella loro benevolenza, lo hanno sempre lasciato circolare per le antiche scale di palazzo Cenci Bolognetti. ' Eppure, anche il surreale sketch, aiuta a capire la disfatta del Ppi. Se il piccolo, inoffensvo Ambra riesce a conquistare la scena per qualche minuto, è anche perche nel palazzo che fu della De, in questo 12 maggio non c'è quasi più nessuno. Nel giorno più difficile per Marini, nello studio del segretario sono arrivati in pochissimi: c'è il vicepresidente del Consiglio Sergio Mattarella, il presidente del partito Gerardo Bianco, c'è il vicese- gretario Dario Franceschini, ci sono i capigruppo Antonello Saro e Leopoldo Elia. Ai tempi della De, attorno al caminetto, si riunivano i capicorrente, i cavalli di razza. Ma nello studio di Marmi non c'è traccia degli ultimi notabili del partito, non c'è De Mita, non c'è Andreatta, non ci sono i ministri di punta e meno che mai c'è il presidente del Senato Nicola Mancino. E proprio Mancino, quando si è sentito chiamato in causa fuori tempo massimo, ha lasciato calare la sua mannaia sull'ultimo rilancio di Marini. Alle 20,15, mentre era riunito il vertice di maggioranza, Giovanni Grasso, portavoce del presidente del Senato, ha fatto diffondere una nota che, di fatto, chiudeva ogni trattativa e apriva le porte del Quirinale a Carlo Azeglio Ciampi: «In questo momento una candidatura del Presidente del Senato, che dovrebbe unire, rappresenterebbe solo un fattore di divisione». E se alle nove della sera, con la nota di Mancino, si è chiuso l'ultimo spiraglio, in realtà per tutta la giornata Marini ha pedalato in salita. 11 tentativo più vibrante di far saltare l'intesa D'AlemaVeltroni-Berlusconi-Fini su Ciampi, Marini lo ha fatto all'ora di pranzo. In quel momento nella casa romana di Berlusconi in via del Plebiscito, i tre capi del centrodestra dovevano prendere la grande decisione. Marini ha telefonato e ha chiesto a Berlusconi: «Attenzione, non votate Ciampi...». Berlusconi ha resistito: «D'accordo, ma se noi non lo votiamo, cosa succede? Che alla quarta votiamo per la Jervolino? No, Franco, non possiamo rifiutare i voti a Ciampi per darli alla Jervolino, questo lo devi capire...». Marmi: «Si può tentare con un altro nome, per esempio Mancino...». E Berlusconi: «Non credi che sia troppo tardi? Dovevi essere tu a dare mandato a D'Alema di proporci un candidato istituzionale». Marmi intuisce che è l'inizio della fine. E si sfoga con i suoi. Racconta che Berlusconi è stato messo in difficoltà da Fini e soprattutto che è stato D'Alema a non stare ai patti. Chi gli sta attorno non capisce: Manni allude agli ultimi giorni o al patto stretto con D'Alema nei giorni in cui cadde Prodi? Poi, in serata, Marini ha aperto l'assemblea dei parlamentari popolari con un mesto sì a Ciampi, affermando di aver sempre sostenuto «l'esigenza di un'intesa con le opposizioni». «Inoltre ha aggiunto -, diremo sì per le qualità personali e morali del ministro Ciampi». Ma già nei pourparler si apriva il toto-segretano. Certo, tutti concordano che bisogna aspettare il 13 giugno, perché «dalle urne può uscire di tutto». Ma se il risultato non dovesse essere soddisfacente, si aprirà subito il duello tra l'ala «fondamentalista», dell'identità democristiano-popolare incardinata su Ciriaco De Mita e quella ulivista. I primi hanno in Ortensio Zecchino, buon amico di De Mita, il candidato più accredditato, i secondi potrebbero puntare su Enrico Letta, allievo di Andreatta, con un buon rapporto con Prodi. E già parte il duello per la successione a piazza del Gesù dopo le Europee Il vice presidente del Consiglio Sergio Mattarella Qui accanto la sede del partito Popolare in piazza del Gesù In aito il leader del Ppi Franco Marini

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